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La città della scienza in fumo: il dolo di una città e di un Paese

Creato il 05 marzo 2013 da Albertocapece

città scienzaAnna Lombroso per il Simplicissimus

I pompieri sono ancora all’opera per spegnere l’enorme rogo che ha distrutto quasi totalmente la Città della scienza, di Napoli, la struttura che ospitava incubatori d’impresa, un centro congressi e una serie di esperimenti pratici e dimostrazioni per far conoscere e spiegare dal vivo la scienza a migliaia di studenti. L’area distrutta comprende cinque dei sei padiglioni per circa 10-12mila metri quadrati. L’intera area è stata posta sotto sequestro dalla magistratura. Le fiamme, divampate dopo le 21.30 di ieri, si sono propagate principalmente per la presenza di legno nel centro scientifico. Secondo quanto riferiscono i vigili del fuoco, all’arrivo delle squadre ieri sera le fiamme erano già completamente estese su tutta la parte museale, dal lato del mare, eccezione fatta per il teatro. La colonna nera di fumo continua ad alzarsi nel cielo di Napoli. E i vigili del fuoco non escludono l’ipotesi del dolo.
È che tutti gli incendi sono “dolosi”:. Se non si identifica o addirittura non c’è la mano incendiaria, il maledetto zolfanello, la tanica di benzina, i boschi, la Fenice, il Petruzzelli, la Roma di Nerone, la fabbrica Triangle, la Thyssen, un carcere in Honduras o una discoteca in Brasile bruciano anche per un altro tipo di reato, di crimine, di frode, quelli di incuria, abbandono, trascuratezza, disinteresse per i beni comuni e per le vite degli altri, indifferenza per la bellezza e la conoscenza.

Lasciare incustodita la Villette di Napoli, un’eccellenza che parla di riscatto, di voler guardare al futuro in una vecchia città ferita, ignorare la necessaria vigilanza, trascurare norme e misure di sicurezza, di prevenzione ed allarme, equivale a appiccare il fuoco. E evoca sinistramente il falò dei libri, quell’allegoria della paura che la cultura, il sapere, incutono alle tirannidi e ai regimi iniqui.
La tirannide contemporanea poi, ormai in tutti i territori del Paese,si segnala per inquietanti combinazioni ormai chiare di economia “legale” e criminalità, finanza creativa che mutua le modalità degli usurai malavitosi.

Ci governa una “cupola” planetaria, fatta di grandi patrimoni, di alti dirigenti del sistema finanziario, di politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, di tycoon dell’informazione, insomma quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo e è cresciuta in paesi che si affacciano sullo scenario planetario grazie all’entità numerica e al patrimonio controllato e che rappresenta decine di trilioni di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi dei lavoratori, che vengono gestiti a totale discrezione dai dirigenti dei vari fondi, dalle compagnie di assicurazioni o altri organismi affini. E servita da quelli che qualcuno ha chiamato i capitalisti per procura, poteri forti per la facoltà che hanno di decidere le strategie di investimento, i piani di sviluppo, le linee di produzione anche di quel che resta dell’economia reale, secondo i comandi di una cerchia ristretta e rapace, banche, imprese, investitori e speculatori più o meno istituzionali.

Il discrimine tra l’attività di chi può agire alla luce del sole e chi ha agito nell’ombra dell’illegalità è sempre più labile, gli uni si servono degli altri, ne mutuano abitudini e usi, stringono sodalizi, si fanno favori e alcuni territori sono il teatro anche simbolico di queste alleanze consolidate sul ricatto della povertà antica e nuova, sull’instabilità, sulla disoccupazione, sull’ignoranza, sulla cancellazione di diritti e garanzie.
A questi padroni e padrini non si addice e non fa comodo quella tutela della dignità e quella conferma della propria autodeterminazione dei propri diritti che deriva dalla conoscenza, dalla consapevolezza, dall’istruzione, per quello tolgono loro ossigeno, le impoveriscono, le bruciano o lasciano appiccare il fuoco a torce compiacenti.

A loro non piace la città della scienza dove vanno grandi e ragazzini a fare amicizia col passato e il futuro. Come non piace a loro un parco su cui non si possono tirar su giganti effimeri di cemento, aiutati da chi dice che Napoli non può permettersi un parco come Villa Borghese, da chi vuole che il suo hinterland sia condannato alla bruttezza, al rifiuto della bellezza di un posto in cui passeggiare, alla pena del cemento e l’asfalto.
Napoli, Bagnoli, proprio come Venezia e Marghera sono diventate la geografia di un insultante progetto pilota, il terreno di sperimentazione dove si mette alla prova la sopportazione dei cittadini all’offesa del paesaggio, dell’identità e della storia dei loro luoghi. A Venezia metti un centro commerciale nell’antico fondaco, fai passare navi alte 5 piani, a Marghera tenti di tirar su una inutile torre che pesa sulla falde e si staglia come una minaccia sull’orizzonte della città. A Bagnoli al posto delle ciminiere Italsider, invece di realizzare l’auspicata riviera, bella forse più di via Caracciolo, nell’incantevole scenario tra l’isoletta di Nisida e il litorale flegreo», mare balneabile per due terzi, un parco, strutture per la ricerca scientifica, con attrezzature alberghiere e un massimo di 2 milioni di metri cubi di edifici, si colloca un impianto per trattare i rifiuti. E se si tollera tutto questo, magari favorito da un bel falò, allora lo stesso sopruso, lo stesso dileggio, la stessa offesa la puoi ripetere dappertutto, esercitando una profittevole devastazione di regime, facendo della razzia un metodo di governo, che è il saccheggio dei nostri beni il loro sacro fuoco.


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