La città delle nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d'Europa, di Carlo Vulpio (Edizioni Ambiente). Intervento di Nunzio Festa

Da Stefanodonno


Taranto che muore. L'inchiesta del giornalista Carlo Vulpio, pubblicata nella stessa collana, delle Edizioni Ambiente, dell'inchiesta di Stefania Divertito, “Amianto”, è un cammino, martoriante e che propone soggetti martoriati, nel territorio più inquinato di tutt'Europa. Dove Taranto, inoltre, e oltre a essere inghiottita dalla almeno mastodontica Ilva, è quanto a concentramento di diossina nell'aria e, quindi, nei polmoni, oltre che nelle proprietà della natura e nel cibo quotidiano, un esempio, negativo, che spicca nell'universo intero. E dal quale le vittime spiccano il volo della morte, o provano il salto nella malattia. Quando non sono costretti a cedere i loro sforzi vitali almeno per spostarsi di qualche decina di metri in più dal mostro dell'Ilva di Emilio Riva. Il mostro ecologico, che nacque statale per essere venduto (per diverse persone 'svenduto') ai Riva, dicono le cronache e le ricerche delle quali il persino pugliese Vulpo è alimentato, tiene in mano il destino della Taranto delle nuvole trasformare dalla diossina e dalle tante altre porcherie che le ciminiere costantemente spingono nell'area di tutti. A vantaggio dei Riva. Che, per dire d'un solo altro esempio, negli anni dai quali è partita la loro proprietà hanno persino un conto aperto con l'Ici non pagato al Comune. I dati di Vulpio, che fu “spostato” da Mieli del Corsera quando entrò nelle questioni di Basilicata che toccavano l'élite dirigente indagata da De Magistris, sono gli sforzi delle associazioni ambientaliste cittadine. Quelle che, dopo anni di silenzio generale e sottomissione del proletariato costretto a non vedere mentre altre volte davvero non vedeva, costringono i dirigenti politici e amministrativi, di centro-sinistra e di centro-destra, a guardare alla sola verità. L'inchiesta di Carlo Vulpio, che il libro ci dona con stile tutto da divulgazione adeguata, castiga il ricorso dei vari Fitto e Vendola a quegli inconcludenti, e sostanzialmente “dimostrativi” quanto bugiardi “atti d'intesa” siglati con Stato-Comune-Riva. Vendola, pare dire in più Vulpio, è anche questo. Leggere le pagine fa molto male. Per tanti motivi. Sicuramente, tra tutto spuntano la determinatezza e l'operato del magistrato d'assalto e di giustizia Franco Sebastio. Voce e azioni a difesa della salute. E solamente dopo dell'ambiente. Ma innanzitutto a favore del rispetto delle persone. Tamburi, il quartiere più martoriato di Taranto, dentro il quale vanno e vengono morti che camminano grazie ai regali in forma di polvere, il rione popolare agganciato all'Ilva e che non fa manco a meno delle nocive immissioni della Cementir o dei vicini scarichi a mare del mercurio bollato Eni, custodisce – tanto per dire – la presenza d'anziani che hanno il più alto livello al mondo di diossina in corpo. O un ragazzino che ha infilato nella carne il fumo delle sigarette che non ha fumato, eppure alla pari d'un fumatore incarnito. La prova scioccante d'un processo, infine (parola che non sarebbe il caso d'usare per il testo di Carlo Vulpio e per opere di questo genere), intessuto contro Emilio Riva e un paio di dirigenti dello stabilimento, industria fuori dalle concezioni della modernità in quanto a tecnologie e tipo di lavorazione, testimonia, quasi a dire che i soprusi non erano già bastanti, che l'Ilva ha avuto una “palazzina”, in realtà un capannone, la Laf, dentro la quale, o il quale, erano proprio segregati settanta dipendenti sgraditi ai capi. Imbalsamati nel non fare nulla che li ha fatti impazzire. In una nullafacenza messa a lottare contra la dignità dei lavoratori. Se avessimo davanti i dirigenti dell'azienda oltre al padrone Riva E. cosa faremmo? Intanto sappiamo di certo che Taranto continua a soffrire, a gemere per una morte da uccisione. Al di là dell'ultima legge regionale, che deve essere applicata fino al 31 dicembre di quest'anno. In mezzo, per giunta, all'ultimo protocollo d'intesa firmato dal governo Berlusoni, dal governo Vendola, dall'Ilva. A dire che quando si devono fare azioni a favore dei più forti, purtroppo, s'è tutti uguali. Vedere con la lente opaca del Vulpio versus Vendola, non serve. Alla stregua d'osservare per beccare, e punto, i colpevoli del passato. Certamente i colpevoli di ieri sono colpevoli alla stessa maniera oggi; eppure la soluzione deve servire al presente per fermare l'agonia della città delle nuvole morte. Il rosso delle strade e di tante case, il nero di certi spazi, gioiellini dell'Ilva fregatura storica – colori in qualità di rifiuti inquinanti lo affermano. Questi devono essere cancellati.

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