L’altro giorno su uno dei tanti canali di news presenti sul digitale terrestre si illustravano le prime pagine dei quotidiani e in quasi tutte la parola che veniva riportata era “la stangata”, per alcuni provvedimenti legislativi e/o rincari di beni di prima necessità.
Viviamo in un periodo di profonda confusione e smarrimento. Se ascoltiamo le notizie europee sembra che siamo ritornati la nazione dei nostri padri fondatori europei : tutti ci rispettano, ci prendono a mo’ di esempio per le azioni governative intraprese , insomma abbiamo un premierato che quasi ci invidiano. Poi basta prendere qualsiasi rapporto (es quello del 2011 della Caritas su “povertà ed esclusione sociale in Italia”) e si scopre che la povertà si estende contagiando anche classi e professioni che sembravano inattaccabili.
Imprenditori che si suicidano per non poter pagare le tasse o gli operai, semplici cittadini che si danno fuoco per la paura di avere confiscati dei beni. Ma dov’è la speranza di rinascere, riprendere il nostro made in Italy, così apprezzato e così imitato? Una frase aleggia nei vari convegni: il bene comune.
Il passaggio da un’esasperata competizione determinata dal consumismo ad una riorganizzazione dei processi produttivi e dei servizi orientata a dare valore al prodotto finito, a selezionare le priorità nei servizi e a creare cooperazione. Quest’ultima modalità organizzativa ha subito molte battute di arresto negli ultimi decenni, quasi che fosse divenuta un escamotage per avviare a minor costo (e non altro) un’attività. Invece per riprenderci i valori essenziali quali il lavoro, la solidarietà, lo sviluppo sostenibile, l’economia reale e non solo finanziaria, dobbiamo cooperare.
Riprenderci le relazioni nei luoghi del vivere e del produrre e considerare l’umanità e non il denaro quale bene primario.
Penso all’utilizzo dell’housing sociale multietnico per abbassare i costi dell’abitare, a servizi condominiali (si il condominio prorio lui!) per rispondere alle esigenze di donne che lavorano e hanno figli da accudire, di anziani soli, di ragazzi che necessitano di supporti scolastici. Una rete di fiducia in cui i bisogni sono evidenti e che nessuna amministrazione, oggi, può farvi fronte.
L’utilizzo del web 2.0 per costruire luoghi virtuali/reali per un incrocio domanda offerta di volontari per il non profit, il reimpiego volontario di anziani esperti per fare i mentori a giovani appena assunti, all’agricoltura sociale come integrazione di servizi di inclusione e riabilitativi per le categorie svantaggiate, alla realizzazione di orti sociali per far dialogare le generazioni e le diverse etnie per migliorare la convivenza, come evidenziato dalle esperienze francesi (la ReteCocagne “Coltivons la solidaritè”).
Il luogo è la città, non più residenziale ma solidale e sicuramente ideale.