La classifica dei lavori più duri

Creato il 02 novembre 2012 da Webmonster @mariomonfrecola

Il professore, poche ore al giorno ma intense, «nemmeno il tempo di andare al bagno», tagli indiscriminati e precariato cavalcante, la pausa estiva necessaria per ricaricarsi dallo stress scolastico.
L’utopia dell’Attimo fuggente.

L’impiegato, troppe tempo in ufficio: all’uscita di «prigione» un salto al supermercato, incombenze varie, cena e la giornata è finita. I più resistenti si godono dieci minuti di tv-sonnifero prima di scivolare inerti tra le braccia di Morfeo sul divano del salotto.
Fantozzi docet.

Da non sottovalutare lo stress degli allenatori di calcio: da Arrigo Sacchi e Pep Guardiola (e Waltar Mazzarri?) si giunge ad un punto di non ritorno oltre il quale si rischia un duro colpo alle coronarie.
Anche i ricchi piangono.

Il libero professionista non stacca mai: avvocati, notai ed imprenditori lavorano ventiquattro ore al giorno. Pagati con assegni post-datati, vivono borderline col fisco. Pochi sfondano, la maggioranza barcolla alla ricerca perpetua del possibile colpo di ricchezza ed un presente di sacrificio.
Uno su mille ce la fa.

Chi lavora a contatto con il pubblico (negozianti, sportellisti e affini) si lamenta del consumatore folle, perennemente insoddisfatto.
Alle commesse va la mia solidarietà: sempre in piedi, infaticabili e pazienti, ci accolgono nei negozi (quasi sempre di altrui proprietà) col sorriso profumato, pronte ad ascoltare le più stravaganti esigenze. Lavorano trecentosessantacinque giorni l’anno, aperti di domenica, Ferragosto e la vigilia di Natale: non hanno scelta, la crisi non conosce pause (e nemmeno la tutela di queste tenaci dipendenti?).
Vita da fiction.

Che tu sia impiegato, funzionario, artigiano, operaio, minatore, tecnico, imprenditore, apprendista, garzone, contadino, intellettuale, uno sgobbone oppure una stacanovista hai una sola certezza: sei vittima di un’ingiustizia.

Perché la jungla lavorativa è piena di «mostri» sanguinari che – pur di sopravvivere – azzannano i loro stessi colleghi senza pietà: tu oppure io, scelta dicotomica tra chi resta e chi spira.
Mangia o sei mangiato ripeteva il collega in carriera finché egli stesso non divenne obsoleto, da carnefice a vittima il passo è breve.

La mia personalissima indagine dura da quattordici anni (da quando fui assunto) e terminerà quando andrò in pensione (mai?).
Nel mentre la classifica dei lavori più duri è in continuo aggiornamento anche se – in verità – al vertice resiste saldamente da sempre  il «collega-mostro» che tutti noi, prima o poi, incontreremo.

MMo



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