Era il solstizio d'autunno il periodo in cui Anna metteva in ordine e spolverava la sua collezione.
Con cura tirava via dalle cornici a giorno, tutte della stessa dimensione, le foto in bianco e nero e a colori della sua preziosa e del tutto originale collezione e, se fino a pochi anni prima la teneva nascosta a occhi estranei, adesso ne andava così fiera da aver disposto quella specie di "reliquiario" sulla parete centrale dell’elegante salone in Via dei Gracchi.
Tutti, quando ne parlava, si lanciavano in dissertazioni sul bello oggettivo ma che finivano, inevitabilmente, nel concludersi in un –Ah... però!- meravigliato e sincero di fronte a quella fila di cornici.
Perché non ci si poteva non sbalordire di fronte a quell'assurda collezione.
Aveva cominciato quella raccolta alle elementari e, precisamente, durante la terza settimana di scuola quando il primo di loro si fece avanti e lo vide arrossire a un suo sguardo casuale.
Anna era la più bella della classe, forse la più bella del plesso elementare inferiore, tanto che alcuni già scrivevano per lei frasi d'amore e poesie sgrammaticate sulle porte azzurre dei piccoli bagni al primo piano.
E fu proprio da quel mercoledì di un Ottobre tiepido, sotto un salice malato, che proprio non poté fare a meno di considerare la timidezza e il difetto, ma anche il balbettio o l’eccessiva magrezza, come una dote ai suoi occhi irrinunciabile.
Lauro, così si chiamava il primo pezzo della collezione, le si avvicinò con tutto il garbo e la dolcezza che un'anima triste e sola poteva contenere in sé: di statura modesta e magrissimo, portava occhiali dalle lenti così spesse che di lui si vedevano solo due larghi e luccicanti occhi neri e Dio, o chi per lui, aveva pensato di completare l'opera aggiungendo a quegli occhi un tantino troppo distanti una consistente deviazione degli assi visivi.
In classe, e per difendersi dalla derisione costante di quella massa di anime crudeli, Lauro sedeva al primo banco, vicino alla maestra. Durante la ricreazione, invece, consumava la merenda accanto alla guardiola della bidella, non osando scendere in cortile dove sapeva che di sicuro gli sarebbe capitato qualcosa di molto spiacevole.
E Anna, tornata a casa carica di regali e puerili biglietti d'amore, dedicò da quel giorno in poi, a Lauro e a quelli che l’avrebbero seguito, ogni suo pensiero e carezza.
Non si saprà mai che fine facessero poi quei ragazzini, una volta scattata la foto, una volta intrappolati in quella inaspettata relazione, di certo c’è che da quel giorno, e nonostante le facce sorprese dei compagni di classe, Anna sedette accanto a lui al primo banco, prendendogli, di tanto in tanto, la mano molle e un tantino umidiccia.
Più tardi, al liceo, e più avanti ancora, la vita le diede ragione e, quando ascoltava i racconti di amori tempestosi, di corna e tradimenti si rafforzava in lei la convinzione di aver fatto la scelta più giusta.
Al di là della mancanza di armonia, delle asimmetrie e dei colori sbiaditi, Anna cercava uomini che contenessero in sé anche nevrosi, ossessioni e comportamenti compulsivi tali che fosse veramente difficile per loro trovare riparo altrove.
La sensibilità di alcuni e la dolcezza che s’insinuava in ogni loro gesto o sguardo portava Anna fin quasi al pianto, a una commozione così profonda che mai in vita sua si sarebbe sognata di far loro un torto.
-di quale amore e dedizione può essere capace una creatura così fragile!- pensava ogni volta che ne incontrava uno.
Questa, l’ossessione che da quel mercoledì tiepido, sotto un salice malato, l’aveva abbracciata.
E anche quello era un mercoledì! Se ne ricordò solo dopo aver sbattuto la porta dell’aula, dopo aver percorso a passo svelto il lungo corridoio dell’università, dopo aver sceso di corsa le scale.
Solo dopo un caffè lungo, macchiato e amaro, fu in grado di riprendere un passo normale, il suo, quello tipico di una donna piuttosto bella, sicura di sé, alta il giusto, mora, dai tratti tipici della donna del sud, il passo di chi sa come farsi guardare, di come ipnotizzare chiunque con il dondolio morbido dei suoi fianchi e di quell’abito verde smeraldo.
Anna, quel giorno, avrebbe voluto mettere fine alla sua ricerca. Arrivata a trent’anni, stava per mettere le mani sul pezzo più raro di quella strana collezione quando, dalle labbra piccole e sottili del Professore di statistica, un –no, mi dispiace- secco e perentorio frantumò il suo sogno.
All’ingresso dell’aula ventinove della facoltà di Matematica quelle tre parole separate da una pausa e da un breve sorriso, comunque timido e sottotono, misero fine a quell’hobby così poco consueto.
Si allontanò dall’Università a passo svelto domandandosi il perché di quel rifiuto, svoltato l’angolo scomparve fra l’umanità, una sagoma verde smeraldo confusa fra la gente.