La commedia della premiata compagnia Cop 21

Creato il 01 dicembre 2015 da Albertocapece

C’è davvero qualcosa di strano nell’informazione, un fondo insoluto che va oltre la menzogna, la manipolazione, la megafonia del potere, quella – per esempio  – che induce i media mainstream ad accusare i manifestanti di Parigi di aver dissacrato e calpestato il memoriale bricò in memoria delle vittime della strage, quando invece sono stati  i manifestanti a difenderlo e i poliziotti a devastarlo, cosa dimostrano senza ombra di dubbio i video.

Per quanto svergognate si tratta di bugie semplici, di trasformazioni della realtà fattuale che in fondo sono poca cosa rispetto alle sceneggiature interamente interamente ideate, scritte e giustificate come quel grand theatre che si svolge intorno al Cop 21 di Parigi, nel quale per la ventunesima volta si cerca di mettere una pezza all’emissione di gas serra. Partecipano non so quanti governi illuminati dalla possibilità di contenere il riscaldamento climatico a 2  gradi rispetto al periodo pre industriale, ma tutto l’ipocrita falansterio è in realtà sponsorizzato, pagato e organizzato dalle grandi multinazionali che fanno enormi profitti sull’inquinamento, compresi i maggiori costruttori di centrali a carbone sulle quali a quanto sembra si svolgerà il clou della discussione.

In queste condizioni è evidente la montagna non potrà che partorire un topolino come giustamente denunciano le “pubblicità sovversive” affisse in tutta Parigi e che mettono alla berlina queste contraddizioni facendo conoscere una realtà se non proprio nascosta minimizzata. Ma questo è solo l’effetto di un ennesimo summit del clima che nasce all’interno di prescrizioni ideologiche e battaglie geopolitiche che di per sé non possono portare nulla di buono. Il fondamento del Cop 21 si basa su una delle pietre angolari del pensiero unico, vale a dire sulla convinzione che il progresso tecnologico possa permettere una crescita potenzialmente infinita semplicemente diminuendo le quantità di energia usata per unità di prodotto. Solo che per fare profitti bisogna moltiplicare i prodotti e accelerare la loro sostituzione entrando così in una stridente contraddizione, tanto che dalla prima Conferenza delle parti, tenutasi a Berlino nel 1995, il consumo mondiale di materiali è aumentato dell’84%  a fronte di risparmi reali di gas serra intorno al 10%  per unità di prodotto (si tratta ovviamente di medie).

Il fatto che questa conferenza si giochi essenzialmente sul carbone e le sue centrali ha poco a che fare con la Co2 e molto invece con la geopolitica: e non è certo un caso che gli Usa in quali si sono sempre rifiutati di firmare il protocollo di Kioto oggi sono alla testa della battaglia al carbone ovvero l’unica risorsa energetica che sfugge al loro controllo diretto o indiretto. Si tratta di un ennesimo tentativo di imbrigliare e controllare le economie emergenti o di denunciarne le malefatte alle proprie opinioni pubbliche. Il carbone è vero produce emissioni di Co2 dal 20 al 40 per cento superiori al gas (dipende dalla generazioni delle centrali e dalla qualità del gas o del carbone), ma dire che come pure ho visto scritto che è responsabile del 70 per cento delle emissioni serra è una bestialità. Consapevole bestialità dove per emissioni si intendono solo quelle direttamente legate alla produzione di energia elettrica, ma non tengono conto del grosso ovvero del riscaldamento, delle auto, dei trasporti in genere ( quelli aerei sono degli straordinari produttori di  CO2), delle industrie, per non parlare delle tecniche agroalimentari intensive.  Di fatto l’utilizzo del carbone nelle centrali è solo una piccola parte del problema che riguarda l’anidride carbonica, senza tenere conto degli altri gas serra prodotti dall’industria e che tra l’altro sono più pericolosi perché non entrano nel ciclo globale della biomassa.

Per carità ben venga una progressiva sostituzione con le fonti rinnovabili, ( se parliamo di gas non facciamo che la corsa della regina rossa) purché non si faccia credere che gli obiettivi di contenimento del riscaldamento planetario siano raggiungibili in presenza di un aumento continuo dei consumi. Ed è qui che si inserisce il discorso geopolitico: in termini percentuali se non assoluti il carbone è la risorsa energetica più utilizzata nei Paesi in via sviluppo anche se questa espressione risulta un po’ ridicola e può essere ampiamente e proficuamente sostituita con Paesi non  occidentali, quali la Cina e l’India sui quali si fa pressione perché cambino strada. In realtà la Cina è il Paese al mondo con maggiore sviluppo di rinnovabili e di tecniche agricole pulite, mentre l’India forse nel 2050 produrrà tanta energia elettrica da carbone quanto oggi gli Usa.

Ma poco importa perché il calcolo è truccato alla radice: i Paesi occidentali fanno i primi della classe semplicemente perché non calcolano il valore  in termini di emissioni dei prodotti che importano, una quantità ormai gigantesca visto che la logica del profitto e della ricerca di lavoro a basso costo e bassi diritti ha trasformato l’Asia nella fabbrica del mondo. Proprio all’inizio di quest’anno la National Academy of Sciences britannica ha pubblicato uno studio in cui questi tipi di classifiche vengono definiti “falsi in bilancio”. Per di più misurando solamente i prodotti spostati da una nazione all’altra, piuttosto che le materie prime necessarie per creare questi prodotti, si sottovaluta notevolmente l’impiego complessivo di risorse ( e dunque di inquinamento prodotto) da parte dei paesi ricchi.

Dunque a Parigi si vuole scaricare su altri il peso della situazione senza minimamente mettere in discussione il “modello di sviluppo” consumistico e pensando di salvare la faccia con un po’ meno carbone anche ammesso che miracolosamente si arrivi a un impegno globale su una carbon tax unificata.  Ma non è nient’altro che una commedia.