La comune

Creato il 17 marzo 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
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  • Anno: 2016
  • Durata: 111'
  • Distribuzione: Bim Distribuzione
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Danimarca
  • Regia: Thomas Vinterberg
  • Data di uscita: 31-March-2016

Arriva nelle sale dal 31 Marzo La comune, ultimo film del regista danese Thomas Vinterberg.

Sinossi: Copenaghen, 1975. Erik e Anna, architetto lui e conduttrice di TG lei, ereditano un’enorme casa in un quartiere esclusivo della città. Di fronte alle alte spese di manutenzione, Anna ha un’idea: invitare alcuni dei loro amici con i quali convivere e condividere i costi dando così vita a una vera e propria comune. Inizia così la realizzazione di un sogno, fatto di incontri, cene e feste, ma anche di animate discussioni.  Amicizia, amore e unione convivono sotto lo stesso tetto fino a quando quando Erik non si innamora di una sua studentessa e la invita a vivere nella comune. A quel punto le apparentemente solide certezze di questa famiglia allargata iniziano a mostrare le prime crepe.

Recensione: A meno di un anno dal riuscito melodrammone in costume Via dalla pazza folla, il co-fondatore del movimento Dogma compie un doppio ritorno, di natura sia geografica che semantica, tornando a raccontare, nella sua Danimarca, quella famiglia altamente disfunzionale già protagonista sia in Festen che nel poco successivo Riunione di famiglia. E se l’incipit de La comune sembra inizialmente richiamare, per temi trattati e leggerezza dei toni, il Lukas Moodysson di Together, basta appena inoltrarsi nella visione per comprendere come l’apologo dolceamaro di una comune nella metà degli anni settanta sia in realtà poco più di una scusa per parlare ancora una volta di famiglia. Lo si intuisce dal modo in cui l’interesse del regista per gli altri componenti della comune venga a scemare, man mano che le dinamiche di coppia di Erik e Anna mutano inesorabilmente, traghettando l’intera storia verso lidi più drammatici. È proprio in quel momento che le istanze rivoluzionarie del collettivo si piegano al peso della più istituzionale delle scappatelle – quella di un professore con un’allieva – e l’asse del discorso si sposta quasi integralmente dal gruppo alla sola figura di Anna che, da leader carismatica, si vede d’improvviso relegata al ruolo di donna tradita e quindi suscettibile di compassione da parte degli altri.

Il senso del film è proprio lì, nel punto in cui si incrociano l’infinita solitudine di una moglie abbandonata, amplificata dalla presenza di più persone attorno, e il fallimento di un ideale – sociale prima ancora che politico – che si proponeva come alternativa a un concetto di famiglia ritenuta ormai obsoleta finendo però con il replicarne, di fatto, tutte le dinamiche interne. Il fatto che Vinterberg conosca benissimo ciò di cui parla, avendo vissuto in una comune dall’età di sette anni fino ai diciannove, si palesa nel suo prendere di petto l’argomento trascurandone i lati più pruriginosi e stereotipati (per dire, qui non c’è alcuna traccia di amore libero o di gruppo) e nell’affetto con cui guarda a tutti i suoi personaggi, non solo a Erik e Anna, allontanandoli così dal rischio di essere pure figurine idealtipiche, utili unicamente alla tesi che intende sostenere piuttosto che non in termini drammaturgici.

Ciò a cui invece l’autore sembra prestare meno attenzione è nell’equilibrio con cui dosare gli umori di una storia che vira in maniera un po’ troppo violenta (lo scarto semantico di cui parlavamo poc’anzi) dai toni da commedia iniziali verso lo psicodramma di coppia che si consuma da un certo punto in poi. Indipendentemente da quanto questa sia una scelta consapevole o meno (Vinterberg, alla fine, è pur sempre un regista scandinavo) ne risulta, in ogni caso, una parte centrale che sembra girare un po’ a vuoto, appoggiandosi troppo sull’enorme interpretazione di Trine Dyrholm, giustamente premiata, per questo ruolo, con l’Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino.

Ed è un peccato che un accumulo di tensione così costante e ben gestito per buona parte dell’opera non abbia poi modo di deflagrare – o almeno non lo faccia del tutto – in un finale che invece rimane sospeso e incapace di dare la spallata decisiva alle convenzioni che, fino a quel momento, l’autore sembrava fare di tutto per indebolire.

Fabio Giusti

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