È curioso (e molto interessante) scoprire che i teorici della decrescita hanno fatto partire il loro ragionamento sull'insostenibilità di una società basata sulla crescita illimitata da un presupposto di pura fisica. In genere, quando si sente spiegare la decrescita, si ascolta invariabilmente il seguente ragionamento intuitivo: un mondo finito non può avere crescita infinita, ovvero prima o poi lo sviluppo esaurirà le risorse. Okay, la riflessione pare piuttosto evidente, ai limiti dell'ovvio. Eppure non tutti sono d'accordo. Nella fattispecie c'è chi contesta questa logica sostenendo che ciò non è necessariamente vera giacché la Terra non è un sistema chiuso (ovvero "finito"), bensì riceve costantemente energia dal Sole. Questo, a giudizio di coloro che non credono alla necessità della decrescita, basterebbe a rendere le risorse del pianeta teoricamente infinite (o almeno disponibili fino a quando ci sarà la nostra stella in queste condizioni di stabilità a rinnovarle), a patto - s'intende - di saperle sfruttare con efficienza.
A questo punto, i difensori della tesi dell'insostenibilità del sistema economico rincarano la dose, affermando che basta applicare la Seconda Legge della Termodinamica per dimostrare che di questo passo la razza umana non ce la potrà fare a tirare avanti a lungo. Si parla di venti o trent'anni al massimo da oggi. Per chi non si intende di fisica, il concetto è riassumibile in questo: non è possibile far passare spontaneamente calore da un corpo freddo (ovvero a temperatura minore) a un corpo caldo (ovvero a temperatura maggiore). In altre parole, se volete bere una bevanda a temperatura minore dell'ambiente, dovete metterla dentro un apparecchio che consuma più energia di quella che entra in gioco nel solo processo di raffreddamento, un'energia usata al solo scopo di far diminuire la temperatura della vostra bibita. Questo si lega al concetto di aumento di entropia, ovvero della misura dell'irreversibilità dei processi (il motivo per cui - per esempio - non si può inventare un motore perpetuo o non si può separare il caffè e il
latte del cappuccino) e all'aumento del disordine dei sistemi, che in ultima analisi dà il grado di indisponibilità di un sistema a produrre lavoro, per cui al termine di un processo fisico la qualità dell'energia utilizzata peggiora, il che significa che, benché l'energia si conservi, non si trova più nelle stesse condizioni di produrre lavoro come all'inizio.
Fu l'economista rumeno
Nicholas Georgescu-Roegen all'inizio degli anni '70 ad avere per primo l'intuizione di applicare questo concetto ai sistemi economici, diventando così il padre della moderna idea di decrescita e il suo massimo caposcuola. Il punto, invero piuttosto semplice, è che siccome tutti i processi produttivi industriali e sociali sono processi bio-fisici, e dunque di fatto assoggettabili anch'essi alle medesime leggi della fisica di cui sopra, in pratica qualsiasi "lavoro" che facciamo fare a un processo o a una macchina, ha un suo rendimento che, per quanto massimo, non è mai il 100%. Ciò significa che tutto ciò che facciamo (costruiamo, produciamo ecc.) ha sempre una ricaduta, un prezzo da pagare in termini energetici, anche per il solo fatto di volerlo fare (costruire, produrre ecc.), pertanto
"qualsiasi processo economico che produce merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali.
Inoltre, nel processo economico anche la materia si degrada ("matter matters, too"), ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche: una volta disperse nell'ambiente le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo, queste possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendio di energia.
Materia ed energia, quindi, entrano nel processo economico con un grado di entropia relativamente bassa e ne escono con un'entropia più alta. Da ciò deriva la necessità di ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare il principio dell'entropia e in generale i vincoli ecologici."
(fonte: Wikipedia)
Da queste considerazioni Nicholas Georgescu-Roegen invocò la necessità di creare un approccio radicalmente nuovo all'economia, una filosofia (lui la chiamò
bioeconomia) che tornasse a far dialogare il sistema produttivo con il pianeta che lo ospita e ne destina le risorse, un binomio che l'economia postbellica di stampo neoclassico aveva negato, disgiungendo in maniera netta e senza possibilità di appello i processi produttivi dall'ambiente in cui essi avvengono, in nome della corsa ultraliberista allo sviluppo, al benessere e - soprattutto - al profitto.
Ebbene, se non ora, quando?
/continua