Commedia degli equivoci, o meglio dell’equivoco, La congiura degli innocenti, girato nel 1955 da Hitchcock; equivoco generato da quel cadavere ritrovato in mezzo alla campagna del Vermont, nel pieno del suo coloratissimo autunno, di cui in molti ritengono d’essere il carnefice. C’è l’anziano capitano (Edmund Gwenn) che crede d’averlo abbattuto con una pallottola destinata a una lepre, durante una battuta di caccia; c’è la zitella stagionata (Mildred Natwick) che crede d’averne causato la morte per averlo violentemente percosso, dopo esserselo ritrovato in casa; c’è la moglie abbandonata dal morto, un’esordiente e radiosa Shirley Maclaine, con relativo figlio e immancabile spasimante (un pittore di dubbio talento, John Forsyte), che crede d’averlo ucciso a bottigliate. E poi c’è un giovane sceriffo pignolo e sospettoso che indaga sulla sparizione dell’uomo. Il povero cadavere, vero protagonista del film, viene sotterrato e dissotterrato per quattro volte, prima che i congiuranti non si decidano per una visita del medico del villaggio (previo lavaggio del defunto) che ne decreta la morte per infarto, scagionandoli tutti.
Film insolito del grande regista inglese, non solo per essere quasi un unicum, in quanto commedia, nella sua filmografia, ma, in particolare, per essere una dissacrante parodia del genere di cui Hitchcock è ritenuto, giustamente, l’indiscusso maestro. La congiura degli innocenti si diverte a scardinare e rovesciare tutti i meccanismi tipici del thriller attraverso un uso pervasivo, ma mai ridondante, del paradosso. Forse non è un caso che questa smitizzazione del noir sia avvenuta immediatamente dopo Caccia al ladro, film probabilmente non tra i più riusciti, ma in cui si palesa il tentativo di una narrazione epica del crimine, attraverso la figura de Il Gatto, interpretata da Cary Grant.