La consapevolezza del respiro – Buddhadasa

Creato il 27 febbraio 2015 da Serenagobbo @SerenaGobbo

Ho sbagliato libro… cercavo un testo per approfondire lo yoga e sono finita in ambito buddhista, e per di più thailandese, con tanti termini in pali (come se non bastasse il sanscrito indiano…). Ma ormai che l’avevo comprato, l’ho letto, anche se non so quanto serva leggere testi del genere se non li metto in pratica. :-(
La meditazione da sola, intesa come posizione immobile (meditazione formale, la chiamano) mi risulta difficile, e suddividerla in sedici passi, come fa Buddhadasa, non fa altro che complicarmi la vita. Neanche la pratica breve mi si addice, sebbene lui l’abbia prevista per i praticanti pigri!

La pratica di Buddhadasa è divisa in quattro tetradi (ognuna poi divisa in quattro passi): contemplazione del respiro, delle sensazioni, della mente e del Dhamma.
Il respiro può essere lungo o corto: bisogna studiarlo con tutti i suoi effetti.
Le sensazioni sono quelle che ci tengono prigionieri, facciamo tutto in vista delle sensazioni:

Imparare a padroneggiare le sensazioni più sottili ci mette in grado di padroneggiare quelle più basse, grossolane e meschine. Controllando le più difficili, sapremo controllare le più semplici e infantili.

La mente va concentrata per renderla adatta al lavoro finale, cioè la vittoria finale sul dukkha (sofferenza).
Infine, nella contemplazione del Dhamma, si passa alla conoscenza della natura delle cose di cui siamo schiavi.

Ovviamente ci sono dei punti di contatto con il pranayama yogico, ma ovviamente Buddhadasa dice:

Non solo l’Anapanasati funziona altrettanto bene delle pratiche yogiche, ma ne costituisce un perfezionamento. Nel kayanupassana (contemplazione del corpo), prendiamo il pranayama dello yoga indiano, lo sviluppiamo e lo miglioriamo nella sua forma più adatta ed efficace.

Trovo più concisi e utili i commenti del traduttore alla fine, del tipo “Quello che ci serve è autodisciplina, non autotortura“, oppure “La meditazione (…) va al di là dei periodi di seduta. La pratica formale, seduta e camminata, è molto importante, e pochissimi sono quelli che non ne hanno bisogno, ma il nostro interesse primario è la vita: una vita libera da dukkha“.



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