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La contro-rivoluzione in Egitto e le sue ripercussioni sul Medio Oriente

Creato il 14 agosto 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La contro-rivoluzione in Egitto e le sue ripercussioni sul Medio Oriente

L’Egitto è la chiave di lettura dei cambiamenti nel Medio Oriente. Si tratta non soltanto del Paese arabo più popolato dell’area, ma anche di quello più progredito dal punto di vista dello statalismo. A differenza dagli altri Paesi della zona che divennero autonomi nel corso del Novecento, l’Egitto conobbe l’esperienza dello Stato già nei primi dell’Ottocento. A metà del secolo passato, con il Presidente Nasser, per un certo periodo il Cairo rimase il centro dell’integrazione del mondo arabo. Contemporaneamente in Egitto nasceva il movimento dei Fratelli Musulmani, che si proponeva come progetto d’integrazione alternativo nel Medio Oriente, rappresentando in primis gli interessi della classe media. Infine era proprio la rivoluzione d’Egitto che ha dato una spinta definitiva alla Primavera araba. In tale contesto quanto sta avvenendo in Egitto avrà conseguenze di lungo respiro per l’intera partita mediorientale.

L’attuale colpo di stato è per molti versi il proseguimento della situazione venutasi a creare dopo la detronizzazione del re egiziano Faruk nel 1952. La rivoluzione antimonarchica si rese possibile grazie allo sforzo congiunto dell’esercito e della Fratellanza musulmana. Allora la Fratellanza era rappresentata dal generale Naghib, che divenne il primo Presidente d’Egitto. Ebbene, subito dopo la vittoria scoppiò una lotta tra gli alleati, in cui gli interessi dei militari erano manifestati dal giovane e ambizioso Nasser. In effetti, Naghib, come pure Morsi, rimase Presidente all’incirca per un anno, fu deposto e passò il resto della vita ai domiciliari. I vertici della Fratellanza musulmana furono rinchiusi in carcere o giustiziati, e l’organizzazione stessa fu formalmente bandita.

Da una parte la Fratellanza musulmana ha tratto una lezione dalla storia. Dopo aver vinto le elezioni, Morsi ha voluto utilizzare l’instabilità sul Sinai per allontanare i vertici dell’esercito vicini a Mubarak, mettendone a capo il «suo uomo» – generale al-Sisi, il più giovane del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Con questo la Fratellanza pensava di formare un’alleanza con la forza chiave del Paese che sono i militari. Che tale alleanza fosse possibile era confermato dall’alto grado di religiosità che si registra nell’esercito. In effetti, a differenza dall’esercito laico turco, nell’esercito egiziano i riti di fede sono universalmente d’obbligo.

D’altra parte la Fratellanza non ha tenuto conto del carattere (collettivo anziché personale) di quegli interessi che il loro governo metteva in serio pericolo. Il fatto è che la maggior parte dell’economia nazionale è controllata dai militari. Quindi ogni tentativo di adottare misure di riforma o ammodernamento non è possibile senza che siano coinvolti gli interessi dei militari. Oltre a ciò al termine del servizio gli alti ufficiali, per tradizione, godono di un’indennità di congedo alquanto buona. Si tratta non solo dei vertici aziendali; numerosissimi sono i funzionari pubblici con alle spalle il servizio militare: la maggior parte dei governatori regionali sono ex militari. Quindi, ogni cambiamento promosso dalla Fratellanza, comprese le autentiche elezioni locali, in realtà minava gli interessi dell’elite militare.

È palese come in Egitto si riproduca la situazione degli anni 1952-1953. I militari hanno dato la possibilità al Presidente Morsi di assumersi la responsabilità di governo, fatto tuttavia che gli ha creato numerosi nemici e ha indotto i militari contro la Fratellanza. In questa situazione il nuovo ministro della difesa, al-Sisi, si è trovato di fronte alla scelta: o sostenere il presidente Morsi, che l’aveva nominato a ministro, o appoggiare gli interessi della propria collettività. Come risultato i Fratelli hanno perso ogni vantaggio tattico ottenuto con il licenziamento dell’ex ministro della difesa Tantawi. Non hanno voluto epurare l’esercito, non hanno istituito strumenti di controllo su di esso. I servizi segreti che sotto Mubarak erano bravi a fare questo tipo di attività dopo la rivoluzione sono stati in sostanza distrutti. Mentre gli organismi di sicurezza militari, rimasti indenni dopo la deposizione di Mubarak, sin dall’inizio erano comandati dal generale al-Sisi. Oltre a questo il presidente egiziano non ha voluto rafforzare le proprie posizioni attraverso la nomina agli incarichi chiave nell’esercito di suoi sostenitori. Di conseguenza al-Sisi si è trovato in una situazione in cui disponeva di ogni mezzo possibile per un classico colpo di stato. Per di più il ministro della difesa si era fatto assicurare il sostegno dell’Arabia Saudita in cui aveva passato diversi anni in qualità di addetto militare.

Contemporaneamente si era resa favorevole al golpe anche la situazione interna. I facoltosi imprenditori, che all’epoca di Mubarak prosperavano, con il presidente Morsi sono finiti in prigione (vedi il magnate dell’acciaio Ahmed Ezz), oppure costretti a emigrare perché minacciati di essere processati (vedi la famiglia Sawiris). In quest’ottica hanno preferito investire massicciamente negli avversari della Fratellanza musulmana, innanzitutto nei partiti costituiti dai personaggi rappresentativi (El Baradei, Amr Moussa). Contro Morsi si pronunciava la maggior parte dei mass media nazionali, controllati dai miliardari vicini al precedente regime. Per di più gli avversari della Fratellanza sono riusciti a far assumere alla lotta un contenuto religioso. Da un lato sotto le pressioni dei Sawiris una notevole parte dei leader copti aveva respinto l’islamista Morsi, dall’altro – alla Fratellanza si sono opposti i salafiti del partito Nur.

Anche la modesta esperienza amministrativa della Fratellanza ha fatto il gioco degli avversari. Va considerato, infatti, che il movimento per tutta la durata della propria esistenza era rimasto all’opposizione. Quindi vi erano fra i Fratelli molti esponenti del mondo PMI, ma non vi erano personaggi che avessero l’esperienza di grossi progetti infrastrutturali. Come pure gli mancavano i quadri da destinare al sistema burocratico: in effetti, all’epoca di Mubarak i Fratelli semmai potevano arrivare ai vertici dei sindacati.

La situazione economica è diventata una sorta di trappola per il governo nominato dal Presidente Morsi. In effetti, già nel 2010 il debito esterno del paese aveva raggiunto l’80% del PIL. E dopo la rivoluzione l’economia era andata a picco. Oggi il deficit del bilancio costituisce il 15% del PIL. Oltre 20 miliardi di dollari (poco meno del 10% del PIL) vengono spesi dall’Egitto in sovvenzioni per l’agroalimentare e i carburanti. Ogni tentativo del governo atto a ridurre la spesa del bilancio e quindi raggiungere accordi con il FMI, si bloccava dalla minaccia della rivolta sociale. In questa situazione Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Egitto da BB+ a CCC+. L’unico sponsor e investitore da considerare affidabile, che la Fratellanza era riuscita a coinvolgere, è stato il Qatar (nell’anno, che è durata la presidenza Morsi, Doha ha messo a disposizione del Cairo circa 10 miliardi di dollari). Nello stesso tempo i tentativi di contrarre amicizia con Cina e Russia s’imbattevano in discordanze sulla questione siriana. Come risultato nel 2012 la crescita del PIL (circa 2%) è risultata commisurabile alla crescita della popolazione, mentre la disoccupazione è salita fino al 13%.

A questi problemi va aggiunta la situazione nel Medio Oriente, estremamente negativa per l’Egitto. La dura presa di posizione della Fratellanza riguardo al conflitto in Siria, ha provocato la carica di tensione fra l’Egitto da una parte e l’Iran e i suoi alleati dall’altra. Contemporaneamente si acuivano i contrasti con le ricche monarchie del petrolio con l’avvicinarsi della Primavera Araba al Golfo. La rivoluzione guidata dalla Fratellanza ha vinto nello Yemen. Il movimento dei Fratelli è la forza chiave che si oppone al debole regime giordano. In effetti, si sta ripetendo la situazione degli anni cinquanta, in cui l’Arabia Saudita lottava attivamente contro il crescente influsso esercitato dall’Egitto, il quale a sua volta sosteneva i «princìpi progressisti». Se al-Riyad non ha fatto dichiarazioni ufficiali contro la Fratellanza musulmana, gli Emirati l’hanno espressamente dichiarata “fuori legge”. Quanto al Kuwait, lì la Fratellanza è considerata la forza d’opposizione più importante nel parlamento.

Le autorità egiziane con a capo Morsi non hanno voluto imparare dalla storia. A suo tempo ogni tentativo di Nasser di formare la Repubblica Araba Unita veniva ostacolato dai sauditi. C’e’ addirittura chi ipotizza che la sconfitta degli egiziani nel 1967 fosse stata coordinata dagli israeliani in combutta con i sauditi. Nello stesso modo al-Riyad ha strettamente collaborato con Tel Aviv contro il governo Hamas in Palestina. Tuttavia il regime della Fratellanza in Egitto partiva dal presupposto che per motivi di ideologia fosse più facile considerare il regime siriano come il maggior nemico. Questa posizione era dovuta anche all’attesa che dall’Arabia Saudita arrivassero gli aiuti finanziari. Per questi motivi l’attenzione dell’Egitto era concentrata sulla lotta contro il regime di Asad anziché su una graduale distribuzione della Primavera araba in tutta l’area del Golfo.

Il golpe in Egitto è da considerarsi come un tentativo di congelare la Primavera araba. La Fratellanza ha perso il suo avamposto più importante. Nello stesso tempo i fondi finanziari a disposizione dell’Arabia Saudita, del Kuwait e degli Emirati superano di gran lunga le disponibilità del Qatar che sostiene i Fratelli. Eppure in tutto questo c’è la possibilità di una spirale nuova. Nel triangolo Iran (sciiti) – Arabia Saudita (salafiti) – Turchia (Fratellanza musulmana) può accadere un cambio di alleati piuttosto interessante. Se prima l’Arabia Saudita si univa in alleanza alla Turchia contro il pericolo sciita, ora la base della coalizione può cambiare. A fronte della «reazione» la Fratellanza e gli sciiti possono avvicinarsi. Inoltre la vittoria della reazione in Egitto non è per niente scontata. A differenza di Nasser il generale al-Sisi non ha una propria ideologia. Quanto ai leader liberali e tecnocrati, la loro autorevolezza non basta per mantenere il potere. L’attuale governo dipende dai troppo numerosi player esterni: i miliardari che desiderano far tornare non solo il capitale investito, ma farsi risarcire le perdite subite nella rivoluzione, i militari, i liberali, le minoranze religiose e i radicali – salafiti. Il governo, semplicemente, non potrà durare con tanti interessi da considerare inderogabili.

L’avvenire economico dell’Egitto, con l’arresto di Morsi, è lungi dall’essere sereno. Se ai tempi della guerra fredda i vincitori nel golpe potevano contare sugli aiuti statunitensi o sovietici, oggi la situazione è diversa. Anche se gli USA volessero proseguire a sostenere sotto il profilo finanziario l’esercito egiziano, il Cairo non dovrebbe nutrire speranze di ottenere aiuti sostanziali. E c’è poco da sperare pure in termini di attrattività su investitori esercitata dall’economia egiziana in una situazione di permanente instabilità interna. È chiaro che l’assetto politico imposto dai militari sarà durevole se appoggiato da continue sovvenzioni da parte delle monarchie «reazionarie» del Golfo. E vengono poi dei dubbi su quanto possano durare tali aiuti sullo sfondo dei prezzi del petrolio instabili, e del numero sempre crescente dei Paesi contagiati dalla Primavera araba, anch’essi da mantenere economicamente.

La Russia, nell’eventualità di peggioramento dei rapporti fra l’Arabia Saudita, da una parte, la Turchia e la Fratellanza musulmana, dall’altra, vede emergere nuove possibilità di gioco nel Medio Oriente. Se prima erano divisi dalle prese di posizione sulla Siria, adesso l’avversario più importante dei Fratelli è ben altro che il regime di Asad. In quest’ottica i Fratelli considereranno con più rispetto le posizioni e gli interessi della Russia. La Russia, a sua volta, potrà vedere l’avvicinamento con il movimento dei Fratelli musulmani come base per l’ampliamento della propria presenza, politica ed economica, nel Medio Oriente. Qualora la Fratellanza dovesse tornare al potere, la loro esigenza della Russia sarà ancora più forte: la stabilità in Egitto per molti versi sarà subordinata anche al prezzo del grano fornito dalla Russia.


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