La conversazione imperfetta. Appunti sulla gestione dei commenti in redazione

Creato il 10 settembre 2012 da Leliosimi @leliosimi

Oltre un decennio fa il Cluetrain Manifesto, pietra miliare della nuova comunicazione ai tempi dei media digitali, pubblicava come prima delle sue 99 tesi la celebre “i mercati sono conversazioni”. Eppure in tutto questo tempo proprio le imprese editoriali e le loro testate giornalistiche – che teoricamente, forti del loro lungo rapporto con la comunità dei lettori – più di altre avrebbero dovuto essere coerenti con questo assunto  “abitando” con disinvoltura un nuovo mercato fatto di relazioni e, appunto, di conversazioni hanno invece dimostrato di non esserne assolutamente all’altezza. È una contraddizione che è stata fatta notare (ad esempio da Mathew Ingram su GigaOm) in relazione alla necessità che oggi molti avvertono nel dare una forma più evoluta ed efficace a uno dei primi strumenti di conversazione online: i commenti ai post. Troppo spesso “corpi” estranei all’articolo, lasciati a loro stessi e messi lì giusto per dovere di mostrarsi “duepuntozero”. Davvero raramente partecipati da chi scrive l’articolo e meno ancora pensati e utilizzati realmente come elemento per alimentare la discussione e farne emergere contenuti di qualità.

Vero è che  altri strumenti sono nati ed evoluti dalla nascita dei commenti (vere e proprie ere geologiche nella velocità di evoluzione di Internet e del web): Facebook, Twitter e le altre reti sociali, dove ormai la maggior parte della conversazione online si è spostata. È lì che oggi sempre più spesso gli articoli vengono citati, linkati e commentati. È ancora lì che si sviluppa traffico, lontano quindi dal luogo originario di pubblicazione (con buona pace di chi considerava i commenti solo e unicamente un modo per aumentare le pageview).

Ha  comunque valore sottolineare come alcuni strumenti nati con il web 2.0 ormai qualche lustro fa (i commenti certo, ma penso anche ai link esterni), siano usati così poco e male da molti giornali online, ma anche parecchi blog, che palesano ancora così poca dimestichezza nel cogliere, almeno in parte, il loro potenziale per creare una conversazione proficua e dare valore ai propri contenuti. Così, probabilmente l’uso e la gestione dei commenti nell’informazione online rischia di essere oggi percepita quasi come una questione “vecchia” e superata, prima ancora che se ne siano utilizzate appieno le reali potenzialità. Possiamo parlare di occasione mancata?

Certo, non c’è dubbio che quella di organizzare efficacemente i commenti sia una difficile sfida: troll, flame, polemiche che rapidamente degenerano, e poi difficoltà nel gestire ogni giorno quantità enormi di commenti. Tutti elementi che hanno convinto in molti che il gioco non valga la candela. Insomma un pozzo nero, come lo ha definito qualcuno, dove è più facile perdere che guadagnare. Tanto vale rinunciare quindi? La risposta è no, almeno se guardiamo all’esperienza di Nick Denton e del suo popolare (in tutti i sensi) network Gawker Media capace di generare 1 milione di commenti per 7.500 post nel solo mese di aprile 2012.

Proprio lui infatti, in questi ultimi sta proponendo con una perseveranza di ferro nuove strade per migliorare la gestione dei commenti ai post. Difficile credere che uno con il fiuto e conoscenza della Rete come Denton continui a provarci e ad aggiustare il tiro se, al di là di ogni oggettiva difficoltà, per lui se non vi fosse la convinzione che ci sia comunque un importante valore da cogliere per la propria “macchina editoriale”  in quel fiume di opinioni e osservazioni. Un valore, è forse superfluo precisarlo, anche economico. Come ha raccontato Felix Salomon in un suo interessante articolo su come l’editore di Gawker pensi di riuscire a monetizzare i commenti.

Denton e il “ribaltamento” dell’articolo

L’esperimento di Nick Denton a Gawker Media che tanta attenzione sta attirando da parte degli esperti è, come accennato, in continua evoluzione con continui aggiustamenti e perfezionamenti. L’idea di base dichiarata però è quella di trasformare ognuno nel moderatore dei propri commenti. L’articolo diventa così la “miccia” con la quale accendere una discussione nella quale tutti sono chiamati a dare il loro contributo e a gestirne repliche e controrepliche. Nell’idea del deus ex machinadi Gawker sparisce la tradizionale gerarchia tra articolo e commenti, parte principale l’uno e corollario il secondo.

Estrapolo e traduco dall’articolo di GigaOm già citato:

Denton non vuole reinventare soltanto i modo di fare e gestire i commenti, vuole che questi cambiamenti siano parte del ripensare il giornalismo online stesso, ribaltando il tradizionale modello dell’articolo, della storia raccontata, dalla sua testa. Mentre molti trattano i commenti e le discussioni intorno a una storia come un ripensamento, qualcosa da appiccicare all’articolo una volta pubblicato, Denton dichiara invece che ciò che vede non è solo l’inizio della storia, ma la sua parte più importante.

L’idea di pensare in qualche modo ai lettori che commentano gli articoli come a una comunità che si auto-gestisce non è nuovissima. Anche all’Huffington Post con HuffPost Badge hanno pensato a qualcosa di simile utilizzando i meccanismi del socialcoso Foursquare per dare la possibilità agli stessi lettori di giudicare i commenti e renderli visibili o meno in base alla loro valutazione di affidabilità e correttezza.

Così come l’idea di vedere la pubblicazione dell’articolo, non come il traguardo finale del lavoro giornalistico ma il suo inizio, da continuare e arricchire con l’interazione del lettore è sempre più forte anche in esperienze di informazione online molto diverse tra loro: dal giornalismo aperto del Guardian, a quello imprenditoriale del nuovo Forbes. Segno probabilmente di un cambiamento di approccio che si sta facendo sempre più strada (almeno nelle esperienze più evolute).

Chi modera che cosa?

Come organizzare il lavoro e la gestione dei commenti in redazione, in base a quali strategie e con quali approcci? Le scelte anche qui non sembrano essere semplici. Il Poynter (fonte inesauribile di buone pratiche e spunti) tempo fa ha chiesto ad alcuni caporedattori di importanti giornali online come avessero gestito l’enorme quantità di commenti che li aveva investiti dopo un particolare fatto di cronaca che molto aveva colpito e animato l’opinione pubblica americana (l’omicidio di Trayvon Martin, un ragazzo di colore di 17 anni avvenuto in circostanze poco chiare).

Al di là dello specifico episodio se ne possono trarre alcune conclusioni sui diversi approcci nel gestire i commenti in una redazione. Se si decide che siano direttamente gli stessi redattori a farlo bisogna poi investire, e parecchio, in tempo da dedicarci. E lo sappiamo, il tempo è merce rara nelle redazioni. Dedicarcisi semplicemente come un di più, vuol dire perdere tempo due volte, serve un impegno costante e organizzato.

L’outsourcing a società specializzate nel community management è un’altra strada, che permette di dedicare delle professionalità specifiche nel lavoro di relazione con la comunità online, oltre che sollevare i redattori da un lavoro che spesso, ahimè,  ritengono loro stessi una perdita di tempo. Il rischio in questo caso è probabilmente quello di credere che possano essere divise in camere stagne professionalità e funzioni che dovrebbero invece integrarsi e collaborare. Ognuno fa il suo, c’è chi scrive l’articolo e c’è chi monitora la discussione (con il compito di soprattutto di tenere bassi i toni della discussione e sedare il più possibile le polemiche). Ed è ovviamente un limite. L’ideale, probabilmente, è rendersi finalmente conto che le redazioni hanno sempre più bisogno di essere ibride, integrando nuove professionalità con un bagaglio di esperienze adatte ai nuovi scenari dell’ecosistema dell’informazione. E hanno bisogno anche di giornalisti consapevoli, a loro volta, di dover acquisire tutte quelle nuove conoscenze che permettano loro di dialogare e interagire in maniera proficua con questi nuovi profili professionali.

lettere alla redazione in un ritaglio di un vecchio giornale


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