La corona ferrea, la fede e la storia

Creato il 21 gennaio 2012 da Senziaguarna

di Renato Mambretti

Quali le origini della famosa reliquia conservata nel Duomo di Monza? Quando e come vi giunse? Fu davvero utilizzata per antiche incoronazioni? Com’era in origine? Il ferro che contiene è davvero una reliquia? I risultati di un’indagine che ha rispettato il valore di simbolo religioso.

Corona Ferrea, V-VI sec. - Monza, Tesoro del Duomo, Cappella di Teodolinda.

Custodita nella silenziosa penombra del Duomo di Monza, la corona ferrea si svela improvvisa ai turisti in una luce morbida e chiara, calibrata secondo le più moderne e raffinate tecniche di illuminazione. Grazie all’impegno della Fondazione che regge il nuovo Museo del Duomo, l’antica corona può finalmente mostrare lo splendore dell’oro, lo scintillio delle pietre dure, la raffinatezza degli smalti antichi, l’eleganza del sue forme. I granati, i corindoni, le ametiste, incastonati nelle diverse lastrine, creano un effetto decorativo fortemente segnato dal significato simbolico-religioso: la Trinità e la croce.
All’interno si intravede un modesto cerchio di metallo, lo stesso che ha dato alla corona la qualifica di “ferrea” e che un’antica tradizione (testimoniata dall’orazione funebre che il vescovo Ambrogio pronunciò per l’imperatore Teodosio nel 395) ha individuato come uno dei chiodi della Passione. Ritrovato da Elena, madre dell’imperatore Costantino, agli inizi del IV secolo, sarebbe stato fatto inserire nel diadema forgiato per il figlio.
Dal tardo medioevo la fama della corona ferrea è soprattutto legata a questa reliquia, quando venne identificata da varie fonti con la corona di Costantino contenente il chiodo della croce. Per questo motivo la vollero utilizzare i re d’Italia nelle incoronazioni dell’età moderna; certamente nel 1530 se ne servì Carlo V d’Asburgo o forse, già nel 1452, Federico III; e ancora Napoleone nel 1805 e Ferdinando d’Asburgo nel 1838. Ma la tradizione storiografica locale, riflessa nei cicli di affreschi che decorano gli interni del Duomo monzese, aveva fissato nella memoria dei visitatori date ben più remote e serie dinastiche ben più antiche, così che nel tempo era divenuto complicato distinguere la storia dalla leggenda.
Negli anni Novanta un gruppo di studiosi, provenienti da differenti specializzazioni scientifiche e sostenuti dalla lungimiranza di un generoso mecenate, ha cercato di dare risposta ai numerosi quesiti posti dalla corona: quali furono le sue origini, quando e come giunse a Monza? Quale fu il suo reale utilizzo per le incoronazioni più antiche? Quale il suo aspetto originario? Il ferro in essa contenuto è effettivamente una reliquia?
I risultati raggiunti sono stati pubblicati tra il 1995 e il 1998 in quattro monumentali volumi, corredati di immagini e disegni di elevata qualità. Di particolare rilevanza sono risultate l’indagine archeologica e archeometrica, secondo prospettive e strumentazioni tecnologiche sino a quel momento mai applicate, almeno in Italia, a un oggetto di oreficeria altomedievale. Innanzitutto si è determinato che la corona fin dall’inizio era costituita da tutti gli elementi che ancora oggi la compongono: placche, gemme e lastrine smaltate. Le sue dimensioni in origine erano maggiori di quelle attuali: essa presentava infatti almeno una placca in più, forse due o addirittura tre. Si è anche definito il tempo di formazione, che non risale all’età carolingia, come fino ad allora per lo più si era indotti a ritenere, ma che è certamente più antico.
Un casuale reperimento di stucco, costituito da terra di fonderia mista a cera, posto in un castone e a sostegno di alcune lastrine smaltate, ha infatti consentito di effettuare esami di laboratorio, anche con l’utilizzo del radiocarbonio, e di giungere a una datazione molto più certa che in passato.
La corona, dunque, con dimensioni maggiori delle attuali, e con tutti i suoi elementi (rosette, castoni, gemme, lastrine smaltate con tondi bruno rossastri) vide la luce tra il 455 e il 565 (68% di probabilità); a questo periodo infatti è stata datata la cera posta a sostegno di una delle lastrine. Tra il 695 e 1’819 (con buona approssimazione) venne poi compiuto sulla corona un intervento di restauro, nel corso del quale tra l’altro venne sostituita la maggior parte delle lastrine: quelle della serie con tondi azzurri. Seguì almeno un altro intervento di restauro, alla luce delle odierne conoscenze non databile, successivo alla avulsione di una o più placche. Nel corso di questo intervento sul lato interno della corona venne inserito un anello d’argento (il ferro degli autori medievali e della prima età moderna) per assicurare l’insieme del diadema, che aveva subito una significativa riduzione della struttura.
Le conseguenze che, a livello interpretativo, derivano dalle novità e dai molti altri dati emersi dalle indagini hanno perciò consentito, sia pure in prudente via di ipotesi, di individuare due momenti particolarmente adatti per la nascita e il restauro della corona: l’età del Re degli Ostrogoti Teodorico (re d’Italia dal 493 al 526) e quella di Carlo Magno (742-814), due personaggi fortemente impregnati di un alto senso della dignità regale. Si conservava, inoltre, anche l’antico richiamo alla corona di Costantino, in quanto possibile modello della corona ferrea.
Le ricerche degli anni Novanta hanno, però, impartito un’altra fondamentale lezione.
Della sua lunga esistenza la corona conserva molti problemi aperti e periodi oscuri o di totale silenzio; in particolare le fonti scritte, oggi conosciute ed esaminate, non sembrano capaci di raccontare le fasi più antiche, ancora largamente dominate da tradizioni in gran parte non verificabili, sia per il legame con numerose incoronazioni sia per il momento della sua appartenenza al tesoro sia per il culto connesso alla reliquia. La corona resta dunque, per questi aspetti, un enigma, allo stato attuale delle nostre cognizioni e dei nostri strumenti di indagine destinato a risultare insoluto, come spesso accade per oggetti, personaggi o momenti del passato che nessuna raffinata indagine storica sa spiegare nella loro completezza.
La storia delle recenti ricerche sul diadema monzese è stata anche una testimonianza esemplare della grande disponibilità da parte della Chiesa nel concedere che l’antico, prezioso reliquiario e la tradizione della reliquia in essa contenuta fossero oggetto di esami accurati, che avrebbero potuto condurre a esiti contrari al secolare sentimento religioso legato alla corona. La scienza ha risposto in modo corretto e si è relazionata con intelligente prudenza anche agli aspetti più problematici (l’anello di ferro è in realtà d’argento, ma questo non esclude che sia comunque reliquia per contatto). La fede non si è nascosta alla scienza e la scienza ha dialogato francamente con la fede.
Le indagini hanno dunque evitato di sconfinare in campi che non sono di pertinenza della scienza e della tecnologia né tantomeno hanno inteso mettere consapevolmente in crisi il valore di segno religioso assegnato dalla tradizione all’antico diadema, percepito e a lungo coltivato dalla devozione popolare.
Questa devozione ancora emerge quando, ogni anno sul finire dell’estate, nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la corona viene tratta dal suo scrigno, inserita nella croce processionale e posta nella piena luce delle strade. Diviene occasione di ricordo e venerato oggetto di meditazione sulla Passione del Signore; il suo valore di testimonianza storica passa in secondo piano e il tradizionale simbolo del potere regale svela il suo significato più profondo.

Bibliografia
La Corona ferrea nell’Europa degli Imperi, direzione scientifica di Annamaria Ambrosioni, I: La Corona, il Regno e l’Impero: un millennio di storia, Milano 1995; II/1-2: Alla scoperta del prezioso oggetto, Milano 1998.
G.A. Vergani, Museo e Tesoro del Duomo di Monza. Guida breve, Cinisello Balsamo (MI)-Monza 2007.

da “Il Timone”, n. 75 – anno X - luglio/agosto 2008 - pp. 26-27



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