Jeremy Irons e Olga Kurylenko
Scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, La corrispondenza ne evidenzia una dote che non è mai mancata al regista siciliano, che va ad aggiungersi ai meriti propriamente autoriali (la forza affabulante di compositore d’immagini in primo luogo), ovvero, almeno a parere di chi scrive, il coraggio, l’ardore sincero e per certi versi temerario, considerando i tempi in cui viviamo e l’attuale produzione cinematografica, non solo italiana, di affidarsi totalmente alla forza propria del cinema, inteso anche come visualizzazione dei nostri aneliti più profondi. Sulla base di quanto descritto imbastisce una storia romantica idonea a mettere in risalto quel sentimento capace, citando il Sommo Poeta, di “muovere il sole e le altre stelle”, l’amore visto ed essenzializzato nella sua più estrema irrazionalità e forza egoistica, arrivando fino al concetto di “possesso eterno”. Così come certi astri si rendono visibili soltanto una volta esplosi, il protagonista, ben reso in ogni palpito, anche in forma di pixel, da Jeremy Irons, intende far sì che la donna tanto amata (la brava Kurylenko, pur se non sempre sembra reggere del tutto la scena) possa serbare nei sui riguardi un ricordo tale da mettere in atto “una corrispondenza d’amorosi sensi che è dote celeste negli umani”, in virtù della quale “sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna (Ugo Foscolo, I sepolcri).
Olga Kurylenko
Questo dunque il tema dominante del film, un’opera che, facendo leva su un’atmosfera sospesa ancor prima che rarefatta, avvalorata dall’ottima fotografia di Fabio Zamarion in felice combinazione con le ovattate musiche di Ennio Morricone, sembra ammiccare tanto ai classici film sentimentali d’antan quanto alle potenzialità offerte dalle moderne tecnologie. Queste ultime si rivelano capaci di porre rimedio, riprendendo quanto viene detto nel corso della narrazione da Edward, a quell’errore, unico e solo, che ognuno di noi prima o poi finirà col commettere, senza rendersene conto e senza possibilità di porvi rimedio, impedendoci così di godere di quello status immortale cui saremmo potenzialmente destinati fin da quando veniamo al mondo. Ciò che sorprende piacevolmente nel corso della narrazione, riporto la mia personale sensazione, è il particolare e suggestivo contrasto fra la prorompente ed elegiaca forza espressa da un complesso rapporto amoroso e il minimalismo della messa in scena offerto da Tornatore, con movimenti di macchina pressoché minimi o comunque volti soprattutto ad intensi primi piani e a particolari fuori campo. Evidente, poi, la capacità di tenere viva l’attenzione attraverso un leggero stato di suspense, anche una volta rivelato subitamente quello che viene ad essere sfruttato non come un plateale colpo di scena bensì quale opportuna dimensione metafisica per interrogarsi sulle suddette potenzialità estreme dell’amore.