Il tentativo di far credere che la politica non c’entri nulla appare così ancora più penoso e patetico restituendo invece l’immagine di una separazione totale del palazzo dalla vita dei cittadini e di una corruzione divenuta un complesso multitasking nel quale ha poco senso tentare di capire chi comanda e chi subisce. Anzi di fatto è la versione italiana del mainstream degli ultimi vent’anni: soldi pubblici per profitti privati. Perché una cosa è certa: il sistema funziona solo se i costi delle opere pubbliche e soprattutto delle grandi opere, spesso volute proprio come conto corrente di un ceto predatorio e parassita, aumentano vertiginosamente assicurando un bel banchetto per tutti.
Ed è questa l’unica ragione per cui la Tav deve essere fatta a tutti i costi, anche se palesemente inutile arrivando a mettere in galera gli oppositori come terroristi o gli F35 devono essere acquistati a prescindere o altre cose conviene non farle perché bastano le penali e i giri di consulenze: si tratta di espressioni di una governance che agisce per se stessa facendo dello stato e del Paese un alibi e uno strumento. Nonostante a distanza di vent’anni si ritrovino gli stessi protagonisti non vuole affatto dire che nulla sia cambiato da Mani pulite. Invece molto è cambiato e quelle che una volta erano anomalie a guida politica si sono trasformate in normalità di un ceto dirigente indistinto che naviga tra partiti, affari, industria, spesso scambiandosi le parti, soldi contro consenso o riassumendole in sé come è accaduto per Berlusconi.
Certo è un sistema che sta arrivando al capolinea per scarsità di risorse ed è appunto per questa ragione che attraverso manomissioni costituzionali o leggi elettorali porcelle si tenta di blindarlo, confidando che sia poi l’Europa a benedire l’oligarchia con i suoi strumenti e le sue troike.