Informare per Resistere
di Michele Paris
Tra i cinque accusati, il più famoso è Abu Hamza al-Masri, egiziano di nascita e già predicatore radicale a capo della famigerata moschea di Finsbury Park, a Londra, da dove prima dell’11 settembre sono passati numerosi estremisti islamici coinvolti in svariati attentati portati a termine o falliti.
Nel 2006, Masri fu processato e condannato a sette anni di carcere in Gran Bretagna per aver incitato alla jihad nei suoi discorsi. Masri, il quale ha perso un occhio e l’avambraccio destro in un’esplosione in Afghanistan nel 1989, deve fronteggiare negli USA undici capi d’imputazione in relazione a rapimenti di turisti in Yemen nel 1998, incitamento alla guerra santa in Afghanistan nel 2001 e per il tentativo di istituire un campo di addestramento per militanti a Bly, in Oregon, tra il 2000 e il 2001.
Gli altri quattro, invece, non sono mai stati accusati formalmente né processati in Gran Bretagna ma rimangono incarcerati secondo le consuetudini pseudo-legali adottate anche in questo paese dopo l’11 settembre e il lancio della guerra al terrore.
Tra di essi vi è Babar Ahmad, cittadino britannico detenuto da otto anni durante i quali è stato sottoposto a ripetuti abusi psicologici e sessuali. Arrestato per la prima volta nel 2003, Ahmad ricevette dal governo di Londra svariate decine di migliaia di sterline come riparazione per il trattamento subito, anche se è rimasto in carcere in seguito alla richiesta di estradizione dagli Stati Uniti. Assieme a Seyla Talha Ahsan, Babar Ahmad è accusato di aver gestito in Inghilterra dei siti web radicali legati ad Al-Qaeda tra il 1997 e il 2004. La giustificazione per la richiesta di estradizione americana è la registrazione in Connecticut dei server utilizzati.
Le richieste di estradizione dagli Stati Uniti sono state emesse in base ad un trattato con la Gran Bretagna siglato all’indomani dell’11 settembre. Questo trattato concede ampi poteri alle autorità giudiziarie britanniche sulla sorte dei sospettati e afferma che chiunque abbia commesso reati che infrangono la legge americana, anche se commessi in Gran Bretagna, possa essere estradato negli USA. Inoltre, gli Stati Uniti non sono tenuti a presentare prove delle accuse, bensì soltanto “ragionevoli sospetti”.
Il caso di Masri e degli altri sospettati di terrorismo era finito davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo dopo che le autorità britanniche avevano dato l’OK alla loro estradizione. Per ottenere il parere positivo di queste ultime, da Washington erano stati costretti ad assicurare, come se fosse necessario per un paese civile, che gli accusati non sarebbero stati sottoposti a “rendition”, che avrebbero avuto processi in corti federali civili e non sarebbe stata chiesta per loro la pena capitale.
Il trasferimento negli Stati Uniti era stato comunque bloccato nel luglio 2010 in attesa di un parere della stessa Corte, la quale in quell’occasione aveva espresso il timore che gli accusati avrebbero potuto andare incontro negli USA a “punizioni inumane e degradanti”, proibite dalla legislazione europea. Tra le questioni che preoccupavano maggiormente la Corte vi erano l’eventualità di una detenzione prolungata in stato di isolamento e la prospettiva dell’ergastolo senza possibilità di libertà sulla parola.
Con la sentenza di martedì la stessa Corte ha invece stabilito che questi punti non rappresentano una violazione dei diritti umani degli accusati. L’isolamento, infatti, sarebbe “una modalità di vita normale” nelle prigioni di massima sicurezza come quella in Colorado che attende i cinque presunti terroristi. Inoltre, qui essi avrebbero a disposizione attività e servizi che “superano quelli offerti dalla maggior parte delle carceri europee”. La detenzione a vita e senza libertà sulla parola, secondo i membri della Corte, appare infine “proporzionata alla serietà delle accuse in questione”.
Sulla decisione presa dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo hanno pesato le pressioni di molti politici britannici, il quali alla vigilia avevano sostenuto che un verdetto contro l’estradizione avrebbe danneggiato gravemente i rapporti tra Washington e Londra. Per altri, addirittura, un parere a favore agli accusati avrebbe dovuto far considerare al governo il ritiro della Gran Bretagna dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, la quale ha appunto istituito la Corte nel 1959.
Tanto più che lo scorso gennaio la stessa Corte aveva respinto la richiesta di estradizione verso la nativa Giordania di Abu Qatada, un altro predicatore radicale accusato di essere uno dei leader di Al-Qaeda in Nord Africa, detenuto senza processo in Gran Bretagna dal 2005 e rilasciato solo nel mese di febbraio. Il caso Qatada aveva sollevato le proteste del premier David Cameron e del presidente francese, Nicolas Sarkozy, entrambi molto critici nei confronti della Corte Europea.
La nuova attitudine della Corte, confermata dalla sentenza di questa settimana, ha implicazioni che vanno ben al di là delle questioni relative al terrorismo. Solo qualche settimana fa, infatti, un’altra sentenza a dir poco discutibile aveva deliberato l’estradizione negli USA di uno studente britannico, Richard O’Dwyer, accusato di aver violato la legge sul diritto d’autore con il suo sito che proponeva dei link ad altri siti che offrivano il download di programmi televisivi protetti da copyright.
Soprattutto, la decisione di martedì sembra preannunciare la sorte del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, in attesa dell’imminente sentenza d’appello presso la Corte Suprema britannica circa la sua estradizione in Svezia – e da qui negli Stati Uniti – per fronteggiare accuse di stupro gonfiate e politicamente motivate. Se la Corte Suprema di Londra dovesse infatti negare il ricorso di Assange, la sua ultima speranza sarebbe appunto la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
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