È una sentenza, quella della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che è piaciuta solo al Nicaragua, che l’ha festeggiata alla grande, con la Plaza de la Revolución bandita a festa, la gente in giubilo e Daniel Ortega in giuggiole. Stiamo parlando della decisione –irrevocabile- che la Corte ha preso in settimana sul litigio tra Nicaragua e Colombia a proposito della sovranità delle acque che circondano l’arcipelago colombiano di San Andrés. I magistrati, dopo sei mesi di studio, hanno deciso di muovere la frontiera marittima tra i due paesi oltre il meridiano 82, consegnando di fatto centomila chilometri di mare al Nicaragua. Una porzione enorme di Oceano Atlantico ricca di risorse ittiche e, soprattutto, di una piattaforma sottomarina di petrolio che il Nicaragua si è già detto disposto ad esplorare. A rischio è il Seaflower, il terzo banco corallino più grande del mondo, dichiarato dall’Unesco nel 2002 Riserva della biosfera e, sebbene, protetto dal governo colombiano con un decreto del 2005, è già stato preso di mira dalle pretese esplorative. Sia la Onu che diverse organizzazioni ambientaliste hanno già fatto pervenire al governo nicaraguense la richiesta di non concedere permessi alle compagnie petrolifere nell’area attribuita ora al paese centroamericano.
A San Andrés, però, dopo la sentenza della Corte Internazionale, non si pensa al petrolio ed alle sue implicazioni, ma all’immediato futuro. Ricca di bellezze naturali (un mare dai sette colori, recitano i cartelloni turistici) l’isola è anche uno dei luoghi più densamente abitati del pianeta. Conta, infatti, 1600 persone per chilometro quadrato, una popolazione che si occupa soprattutto di turismo, commercio e pesca. Proprio quest’ultimo settore è quello che rischia il collasso: dal governo locale fanno sapere che, ridotta la superficie delle acque dove poter pescare, l’intero arcipelago si espone ad una crisi di difficile soluzione. Il turismo, infatti, settore di punta dell’economica isolana, non tira più come negli anni passati e, perso anche il privilegio delle banche off-shore, tutto a San Andrés parla di una gloria ormai trascorsa. Gli isolani protestano con schietto dissenso: siamo un’isola senza mare, dicono, la terra è colombiana, ma il mare è nicaraguense. Ieri gli abitanti si sono vestiti a lutto ed hanno sfilato per le strade di San Andrés in un corteo dove ogni manifesto esprimeva il rifiuto alla decisione presa in Olanda. Tra i dimostranti, ad aggiungere legna al fuoco, c’era anche Álvaro Uribe, che ha invitato il presidente Santos a non accettare la sentenza.
Magistrati che si sono fatti guidare dalla praticità e dal diritto internazionale, più che dal senso comune. Le isole (San Andrés, Providencia e Santa Catalina) distano duecento chilometri dal Nicaragua e ottocento dalla Colombia, un avamposto, insomma, che permetteva ai colombiani di poter fare quello che volevano nell’Atlantico caraibico nonostante la distanza dalla terraferma. L’intento della Corte è stato quello di riportare un poco di ordine su accordi presi quasi un secolo fa e su cui esisteva confusione. Il rischio, invece, è ora quello di aver scatenato un putiferio. La sentenza ha messo in pericolo gli equilibri della regione. Alla protesta della Colombia, potrebbe infatti unirsi anche quella di Panama e Costa Rica che stanno valutando se, nella porzione di mare consegnata dalla Corte al Nicaragua, non ci sia anche un pezzetto di acque territoriali dei loro paesi. Una possibilità, questa, non tanto campata in aria. Sullo stesso tema: http://www.mauriziocampisi.com/colombia-e-nicaragua-litigano-per-il-petrolio-nel-paradiso-caraibico-di-san-andres/
La Corte Internazionale ha deciso, il mare di San Andrés è del Nicaragua
Creato il 24 novembre 2012 da EldoradoPossono interessarti anche questi articoli :
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