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La Corte Suprema assicura una vittoria storica ad Obama ma l'economica ristagna

Creato il 07 luglio 2012 da Pfg1971

La Corte Suprema assicura una vittoria storica ad Obama ma l'economica ristagna

La Corte Suprema assicura una vittoria storica ad Obama ma l'economica ristagna

Il 28 giugno, ultimo giorno utile della sua sessione di lavori annuali, la Corte Suprema americana ha detto si.

 

Dopo innumerevoli speculazioni giornalistiche e all’interno dell’opinione pubblica, tutte delle stesso segno, convinte che la Corte avrebbe deciso per l’incostituzionalità della legge di riforma della sanità statunitense, nota come Obamacare, per il fatto di essere stata voluta con grande intensità, dispendio di energie e capitale politico da parte del presidente Barack Obama, è accaduto il contrario.

 

I nove supremi magistrati americani hanno stabilito la piena costituzionalità della riforma. A dare il contributo decisivo a una sentenza del tutto inaspettata è stato proprio il “Chief Justice”, il presidente della Corte, quel John Roberts, nominato dal conservatore George W. Bush, contro la cui conferma aveva votato l’allora senatore dell’Illinois Barack Obama.

 

Questi, destinato per la sua giovane età a presiedere la Corte per decenni, ha voluto affiancare il suo voto a quello dei quattro giudici di impronta progressista, quasi tutti nominati da presidenti democratici, come Elena Kagan e Sonya Sotomayor, scelte da Obama.

 

Lo ha fatto per tutelare una delle più ampie riforme sociali dai tempi del New Deal di Franklin Roosevelt e della Grande Società di Lyndon Johnson e per farlo ha dichiarato che il mandato individuale, uno degli aspetti più controversi delle norma, quello che impone ad ogni americano di acquistare una assicurazione sanitaria (con aiuti federali per i più bisognosi) con la previsione di una multa per chi non lo facesse, rientra appieno nella costituzione federale poiché va intesa come nient’altro che una estensione del potere di tassazione del Congresso.

 

In questo modo non ha sancito la costituzionalità della norma in base alla “commerce clause”, al potere cioè del Parlamento di regolare il commercio interstatale, come chiedevano i difensori della legge di parte governativa, ma l’esito è stato il medesimo.

 

Si tratta quindi di una sentenza storica che ha riconfermato una riforma epocale e per la quale Obama sarà ricordato come uno dei presidenti più incisivi della storia americana, e questo anche se a novembre non fosse rieletto. In effetti da questo punto di vista le cose non sembrano andare molto bene per il presidente in carica.

 

Un settimana dopo la decisione così favorevole della Corte, ieri è stato reso noto il tasso di nuovi occupati aggiunti dall’economia americana nel mese di giugno. Dopo il sensibile rallentamento di maggio, anche il mese successivo il trend sembra essere il medesimo.

 

Pur se in termini assoluti i nuovi occupati sono stati 84.000, di più di maggio, il livello di disoccupazione è rimasto inchiodato all’8,2%. Una pessima notizia, mai un presidente in carica è stato rieletto con un margine superiore al 7% e ormai, di qui a novembre, quando si terranno le elezioni, è possibile fare ben poco.

 

La campagna elettorale di Obama sta facendo di tutto per imporre negli elettori una narrativa diversa: per togliere rilievo alle attuali condizioni di bassa occupazione punta a porre in luce il fatto che la situazione odierna è ben diversa da quella a cui ha dovuto fare fronte il presidente quando ha fatto il suo ingresso alla Casa Bianca.

 

Pur se anemica, la ripresa c’è. Il team Obama fa di tutto per evidenziare che grazie alle scelte economiche del primo presidente nero, sono ben 28 mesi consecutivi che l’economia aggiunge nuovi posti di lavoro e non il contrario.

 

Il loro obiettivo è inculcare nei votanti l’impressione che il trend economico, anche se poco dinamico, rimane positivo. Questo perchè sono consapevoli che, secondo alcuni studi, la decisione degli elettori su chi votare alle presidenziali, in particolare nel caso degli indipendenti, non legati cioè a nessuno dei due partiti, viene molto influenzato da impressioni ed eventi che si verificano negli ultimi quattro mesi prima del voto.

 

Tuttavia resta il fatto che è da oltre 41 mesi che il tasso di disoccupazione non scende sotto il livello dell’8%. Ad influenzare in modo decisivo l’economia americana è lo stato di caos e calo di fiducia che regna nella zona euro.

 

La debolezza greca, la new entry spagnola e, in controluce, il futuro poco roseo dell’Italia non promettono nulla di buono per la crescita dell’economia europea e gli Usa ne sono coinvolti in prima persona.

 

Naturalmente l’avversario repubblicano di Obama Mitt Romney ha buon gioco nel sostenere che l’azione presidenziale non è stata in grado di rimettere in moto la macchina produttiva statunitense e quindi l’unico modo per farlo è cambiare l’inquilino della Casa Bianca.

 

Di male in peggio, con i repubblicani al vertice dell’esecutivo i nuovi leader non farebbero altro che applicare la stessa ricetta che si è rivelata fallimentare per le sorti economiche europee: austerity, tagli di bilancio, riduzioni del welfare e tagli alle tasse dei più ricchi.  


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