La Cosa (2011)

Creato il 30 novembre 2011 da Elgraeco @HellGraeco

Un salto indietro nel tempo, ma non nel 1982, bensì nel Gennaio 2010. Da blogger sconosciuto, scrissi la mia bella recensione su La Cosa di Carpenter, proprio dopo aver appreso della notizia di questa roba qua, il prequel: ne avevo solo letto, ed ero lì a pensare che non ci potesse essere film più inutile sulla faccia della Terra.
Ovvero, tenendo buono il pregiudizio anti-remake, perché è un prequel che assomiglia a un remake, pieno di omaggi sgargianti, ci si misura con Carpenter, e non con un Carpenter alla Vampires, ma con IL capolavoro, o UNO DEI. Incoscienza e faccia tosta la fanno da padroni, subito dietro la volontà di tentare di rifarlo.
E poi, c’è il non trascurabile aspetto, come detto anche nella bellissima locandina alternativa, della minestra riscaldata. Giri una storia che era già perfetta nell’82 e che si sa già come va a finire. Forte! Una strategia bellica degna di Gengis Khan. E, in più, ci metti un budget di 35.000.000 di dollari. Robetta, se ci pensate.
Ma qual è lo scopo?
E allora, visto che non ce n’è uno che appaia tale, nessuno scopo apparente, bisognerebbe prendere il tutto con una risata, se La Cosa del 2011 consentisse di ridere, ma non lo fa, e guardarlo come un divertissement, esercizio registico finalizzato al nulla. E non lo chiamo nulla cosmico perché non voglio che gli si associ una natura poetica che non ha, né vuole avere.
A meno che non vi basti Mary Elizabeth Winstead che guarda la via lattea dal Polo Sud, per farvi venire il magone. Il suo non guarderò più le stelle con gli stessi occhi potrebbe anche sembrare giusto. Banale, trattandosi di incontro ravvicinato con una specie aliena, ma giusto.

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La scampagnata nell’Antartide. E, come fu per Kate Beckinsale nel suo celeberrimo Whiteout, il modo migliore per scoprire le Cose dall’altro Mondo è finirci dentro, in una voragine, con tutto il gatto delle nevi. Un crepaccio profondo un centinaio di metri che, la prima domanda che ti fa porre, dal momento che la suspense è tendente allo zero, è: ma come cazzo hanno fatto a venir fuori di lì?
Ma chi se ne frega? Hanno trovato l’astronave. Non resta che coinvolgere qualche americano, perché sennò il film se deve girà in norvegese, e già che ci siamo, ci mettiamo pure una bella paleontologa, la suddetta Mary Liz, antesignana del finto empowering femminile, nonché unico essere umano dotato di raziocinio, in un laboratorio (bi)polare abitato da maschi alfa, sedicenti scienziati e alfieri di stupidità insondabile. E, per una volta lo voglio proprio dire, io che sono un ometto, mi vergogno di come gli uomini sono stati rappresentati in questo film. In una parola: dementi.
E mi sto trattenendo, non volendo insistere sulla solita fiera di luogocomunismo legato alla parola “scienziato” e alla solita mitologia prometiana. Scoprire una forma di vita aliena è fighissimo, siamo d’accordo. È una di quelle robe che scolpisce il nome dell’artefice nella storia, ma che per questo si debbano trascurare tutte le norme di sicurezza è e resta un atteggiamento demente. Adattissimo, tra l’altro, al cinema d’oggi.

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Quello che in Carpenter era incastro perfetto degli eventi, concatenati in modo da non farti sbadigliare nemmeno per un nanosecondo, qui diventa solita solfa. Tanto, pare che persino il regista non si sia fatto illusioni, si sa già come finisce. Inutile illudersi. E, a questo punto, onore al merito. Nel senso, il film è poco, ma almeno Matthijs van Heijningen Jr. ha avuto il buon gusto di non far finta che sia figherrimo, presentandocelo per quello che è, una minestra riscaldata in salsa CGI.
Due paroline anche sulla musica. È mai possibile che oggi non si riesca a comporre uno score che sia un minimo inquietante? Che non appaia acquistato al discount, dai cestoni degli score assortiti? Giusto per far finta che la spedizione al polo sia misteriosa & pericolosa, altrimenti l’atmosfera da gita fuori porta con alieno incorporato è proprio dura da ignorare, da soli, noi poveri spettatori inermi con nemmeno una colonna sonora che si rispetti.
Soundtrack anonima, quindi, a suo modo perfetta per il prequel/remake anonimo. Karma is a bitch, you know.
Una disillusione dietro l’altra, pregio del film è quello di non sfociare nel ridicolo odioso. See, ok, si smanetta con la CGI e la Cosa, la creatura, come tante altre creature, villain moderni, anche stavolta soffre di un deplorevole eccesso di personalità; fa un po’ il verso al tirannosauro o al puma delle nevi, quando, da essere alieno, perciò indecifrabile, che è mosso solo dalla sopravvivenza (mi ricordo la testa-ragno dell’82, che provava persino paura…), vittima anche lui, perché le busca da Kurt Russell, diventa un predatore dal taglio classico, che emette versi all’uopo, quando è impegnato a cacciare. Insomma, un essere alieno sofisticato, che costruisce astronavi, che soffia come un gatto in calore. Ma che ci stiamo raccontando?

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Mary Elizabeth Winstead, caruccia persino con giacconi e jeans, fa la dottoressa Giò, in carriera in Antartide. Da unico essere pensante, prende il controllo della situazione. Venti uomini/caproni e nessuno, nessuno in grado di prendere una decisione e che pendono dalle sue labbra. E quando dico prendere una decisione non è sottinteso che sia sensata. Voglio dire che questi non vanno neanche a pisciare se non glielo dice lei. Quindi, uomini ridotti ai minimi termini. Cosa in CGI che soffia, musica anonima e poca spettacolarizzazione, per un film che riesce persino noioso. Ho faticato a restare sveglio negli ultimi venti minuti, ovvero dove dovrebbe essere raggiunto il climax.
Come fu per Predators, ennesima bufala fatta in nome di non so chi o cosa.
E, pur con tutta la simpatia che nutro per la protagonista, il silenzio che attanaglia la visione del film lo relega all’istante nel dimenticatoio. Per fortuna, aggiungo.
Il 1982 è ancora lontano.

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