Sorrido, ed è un sorriso un po’ triste a dire il vero, leggendo l’articolo di Stefania Parmeggiani sui premi letterari e sull’editoria a pagamento.
Sorrido perché, la sgradevole verità, è che quelle che racconta la Parmeggiani sono cose che molti di noi “addetti ai lavori” sanno da anni ormai. C’è un sottobosco di case editrici che campano solo ed esclusivamente sulla creduloneria della gente perché, infondo, ognuno di noi cerca quei cinque minuti di notorietà, vuole un riscatto a una vita forse troppo monotona, pensa di avere qualcosa di estremamente interessante da dire. Tuttavia mi permetto di dissentire su molti elementi. Oggi se non scrivi un libro “appetibile”, cioè qualcosa che abbia un livello di vendibilità discreto, che stuzzichi le masse, che dia l’opportunità di essere acquistato anche solo per far dire all’acquirente: “Ho quel libro di successo”, se non vai alla scuola di scrittura creativa di successo, se non sei “il caso editoriale” di qualche altro paese, raramente verrai pubblicato da una casa editrice a grande distribuzione. Guardate cosa è successo a uno scrittore meraviglioso come Severini. C’è voluta la candidatura a un premio tarocco come lo Strega per essere riscoperto.
Sono argomenti decisamente spinosi che chiunque, all’interno del mondo dell’editoria, affronta cercando di portare acqua al proprio mulino.
Allora, forse, è il caso di ristabilire un po’ di ordine.
Le grandi case editrici (e non solo purtroppo) hanno adottato il metodo delle centralizzazioni. Cosa sono le centralizzazioni? Sono accordi commerciali che il direttore commerciale di un gruppo di catena libraria fa con il direttore commerciale di una determinata casa editrice ( che a volte è anche “distributore”), non sono quindi i librai o le libraie a ordinare un determinato titolo, la quantità che arriva in libreria è imposta attraverso logiche di mercato. Se la casa editrice ha investito tanto su un dato prodotto non potrà permettersi un flop e quindi farà di tutto per creare un caso editoriale. Si comprano vetrine, spazi su giornali, recensioni e poi vengono a dire che è stato un successo di passa parola. Fanno di tutto per aumentare le aspettative sul libro, creano eventi. È una vera e propria macchina da guerra che non prevede si facciano ostaggi. Questo non significa che tutte le case editrici seguano lo stesso percorso o che si pubblichino solo libri considerati “vendibili”. Ma è una realtà con la quale occorre fare i conti, affermare il contrario, dire che si pubblica un libro “commerciale” perché è il pubblico che lo vuole, significa non raccontare tutta la verità.
Ormai siamo arrivati al punto che si sostiene che l’importanza culturale di un Faletti o di un Brown è identica a un Calvino o a un Montale. Forse da un punto di vista commerciale l’importanza di un King è persino più alta di una Austen o di un Dostoevskij ma da un punto di vista culturale le due cose dovrebbero rimanere ben distinte. Negli ultimi anni si sono sprecati i paragoni con i grandi del passato, ogni nuovo autore è l’evento editoriale dell’anno. Ho già detto della condizione dei libri nelle librerie di catena, del fatto che dopo sei mesi esce il tascabile dei libri che hanno venduto molto, di alcuni addirittura il super tascabile. Ho già accennato ai libri che rimangono sugli scaffali due mesi e poi entrano nell’oblio per uscire dal catalogo dopo un paio di anni.
È un sistema che si sta cannibalizzando da solo in cui non si riconosce più il senso della letteratura ma solo quello dell’operazione commerciale che si sta portando avanti. Libri che vengono trattati come videogiochi, sconti che tornano più volte all’anno, saghe infinite di letteratura trita e ritrita.
Se non ti adegui al mercato sei fuori, se scegli di svendere il tuo lavoro, invece, si accendono i riflettori.
Non è tutto così, per fortuna, ma ormai si fa sempre più fatica a distinguere fra il “meritato” e il “costruito”.
Va bene, in ogni caso, va bene così. Il mercato è vasto, vastissimo. C’è chi vuole leggere un libro leggero, chi preferisce i classici, chi vuole un saggio. C’è tutto quello che si cerca, oggi, su questo immenso mercato. Libri di carta o e book, autopubblicazioni o eventi dell’anno. Va bene. Ma diciamo la verità, per favore, non siamo ipocriti. Smettiamola di dire che il “successo” di un libro arriva per caso, che la gente crede nel prodotto, che i premi letterari premiano la cultura. Vedrete mai una casa editrice sconosciuta vincere lo Strega? No. Mi spiace. I premi importanti premiano solo ed esclusivamente il più forte. Le piccole realtà editoriali lo sanno, possono aspirare, al massimo, a una segnalazione che serve al premio per togliersi quell’alone di ambiguità.
È una cosa che nessuno dice mai, ai miei occhi appare estremamente scorretta ma è così che funziona.
Il sistema è questo, funziona così, almeno smettiamola con le ipocrisie.
Marino Buzzi
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