La costruzione della nazionalità indiana: nazioni ed etnie (Parte 5)

Creato il 30 gennaio 2012 da Davide

L’etnia, un soggetto sfuggente

Alla fine degli anni Settanta era diventato di moda, tra l’intellighenzia di Manhattan essere “etnico”; è il trionfo dell’hyphenated American , l’americano con il trattino, come italo-americano, irlandese-americano, afro-americano, contro il melting pot, il crogiolo assimilazionista e omogeneizzante che era stato propagandato come meta agli immigrati più o meno recenti e alle associazioni per la gente di colore. Ancora nel 1968 i ministri del culto neri rifiutavano il concetto di razza sostenendo che Dio aveva creato una sola razza, la razza umana, ma già nel 1973 si usava il termine “gruppi etnici” per descrivere i neri e gli altri. Durante gli anni Sessanta l’esistenza del movimento politico nero, da quello per i diritti civili alle Pantere Nere, provocò il passaggio dei neri da “razza” a “etnia” e ciò, di converso, causò l’etnicizzazione dei bianchi, degli asiatici e degli indiani.
Secondo molti antropologi fisici, la parola «razza», come termine biologico, non si applica alle popolazioni umane e gli scienziati sociali trattano le razze come categorie sociali o culturali.

«Per l’uomo comune che usa il termine «razza», esso classifica gli esseri umani secondo presunte differenze biologiche e, per lo più, li posiziona su questa base come superiori e inferiori. Si crede che il bagaglio biologico di un individuo si manifesti nel suo aspetto fisico e in particolare nel colore della pelle, il tipo di capelli e la forma del naso. Si presume che gli individui esibiscano differenze di carattere, personalità e intelligenza biologicamente determinate. Quelli considerati membri della stessa razza dovrebbero essere sostanzialmente simili fisicamente, moralmente e nel comportamento» (Blu 1980:204) .

La «razza nera» non era considerata un gruppo dai bianchi, ma solo una collezione di individui, che erano tutti presunti biologicamente simili, mentre il gruppo etnico è, secondo l’interpretazione della Blu della mentalità popolare della North Carolina e in generale del Sud degli USA, una comunità morale, un gruppo di interessi e non soltanto un aggregato di individui. La categorizzazione etnica popolare riferita dalla Blu classifica gli individui come membri di gruppi che si distinguono gli uni dagli altri sulla base di una “eredità” o background comune, formato cioè dalla nazionalità degli antenati, lingua, razza, religione, costumi, eventi storici o una combinazione di questi elementi. Tuttavia gli immigrati europei dell’Ottocento e del primo Novecento vennero classificati con un vocabolario razziale da quelli che già vi risiedevano.
Max Weber elaborò la nozione di «gruppi etnici» o «comunità etniche», usando gli ebrei europei e i neri degli USA come estremi esempi di comunità paria in una società stratificata in caste. Egli separa analiticamente i due aspetti, quello concettuale e quello sociale, che sono fusi nella definizione popolare riportata dalla Blu:

 «La credenza nell’affinità di gruppo, non importa se ha un fondamento obiettivo o no, può avere importanti conseguenze specialmente per la formazione di una comunità politica. Chiameremo “gruppi etnici” quei gruppi umani che intrattengono una credenza soggettiva nella loro discendenza comune a causa di somiglianze nel tipo fisico o di costumi o entrambe le cose o a causa  di ricordi di colonizzazione e migrazione; questa credenza deve essere importante per la propagazione della formazione di gruppo; di converso, non importa se esiste o no un’oggettiva relazione di sangue» (Weber in Blu 1980:205).

Secondo Hobsbawm (1991:72-76) l’etnia è

«qualcosa che sta in una qualche, non ben definita, relazione con la comune origine e la discendenza da cose dalle quali si suol far derivare le caratteristiche comuni degli appartenenti a un determinato gruppo etnico». «Parentela» e «sangue» presentano evidenti vantaggi quando si tratta di accomunare gli appartenenti a un gruppo e di escluderne gli estranei: sono pertanto un elemento centrale nel caso del nazionalismo su basi etniche».

 Egli ricorda le parole di un nazista austriaco secondo cui la “cultura non la si può acquisire con l’istruzione. La cultura è nel sangue”. Vedremo come gli indiani ondeggino tra il concetto di cultura e quello di sangue nella propria autodefinizione. Come sottolinea Gellner, il collegamento di un popolo con una cultura maggioritaria dotata di scrittura e con l’intermediazione di una religione a estensione mondiale consente ai gruppi etnici di acquisire un patrimonio ideologico che li può aiutare a diventare in seguito nazione. Gellner fa l’esempio dei gruppi africani che hanno sviluppato il loro nazionalismo, ma queste considerazioni valgono, come vedremo, anche per gli indiani americani (Gellner 1985:96) .
La nozione di etnia risale, nella cultura occidentale, all’uso che gli antichi greci facevano dell’uso del termine ethnos, che corrispondeva a una categoria politica contrapposta a quella di polis. Polis aveva una connotazione individuante e positiva; ethnos, invece, una connotazione fluida e in qualche modo peggiorativa.

«Per i greci, infatti, polis connotava la comunità omogenea per leggi e costumi, mentre ethnos designava sia i greci che non erano organizzati in villaggi (per esempio i pastori), sia i «barbari», coloro che non parlavano la lingua greca. L’ethnos designava un popolo dalle istituzioni «indistinte», cioè non dotato di istituzioni capaci di integrarne la vita sociopolitica. Questa connotazione «difettiva» del termine ethnos si manterrà nella storia dell’Occidente sino all’età moderna. L’etnia finirà infatti per assumere, in quest’epoca, le caratteristiche di una «nazione per difetto» o di nazione «diminuita», «incompiuta». Il termine di paragone è, dalla fine del Settecento, la nazione che, come ha detto Ernest Gellner, si presenta come il correlato dell’esistenza di uno Stato con confini definiti, in cui le élite al potere dettano i principi ideologici dell’identità a cui sono tenuti a conformarsi coloro che abitano entro quei confini (Gellner, 1985a). L’etnia, invece, è costituita da individui che aspirano a diventare nazione» (Fabietti 1996:27) .

La Blu osserva che razza ed etnicità sono intrecciate all’interno sia delle concezioni popolari che di quelle dei sociologi.

 «Da un lato, l’etnicità è talvolta vista come un fattore nella razza quando i profani aggiungono dei fattori culturali agli aspetti fisici definenti della razza. Dall’altro, la razza è spesso riconosciuta come un fattore di background nell’etnicità. … Anche tra i sociologi la razza permea le classificazioni etniche. Grazie a Michael Novak (1971), ora abbiamo il termine “etnicità bianca” in riferimento ai polacco-, italo-, greco-, slavo-americani» (Blu 1980:209).

Mentre l’etnicità diventava più di moda nei circoli accademici e nell’opinone pubblica generale e un numero maggiore di persone la vedevano come un aspetto positivo della propria personalità, la razza diventava sempre meno accettabile socialmente. Si assiste così anche in America al fenomeno di de-biologizzazione della razza, dove gli aspetti razziali di un gruppo etnico vengono sottolineati come mai prima e si fa appello agli aspetti «culturali» della razza.
Negli Stati Uniti e in Canada (in misura sempre maggiore) l’identità etnica può, per certi versi essere opzionale; se una persona vuole stare all’interno di una identità etnica, ovviamente deve avere degli antenati di quella identità, ma se gli antenati appartengono a identità diverse, si può legittimamente assumere quella che si preferisce. Naturalmente la scelta sarà influenzata da fattori esterni, come la stima sociale e le circostanze individuali. Qualcuno può anche insistere sul possesso di più di un’identità etnica. Vedremo che questo è un tema particolarmente sentito dagli indiani; un buon esempio ci viene da Michael Dorris autore di romanzi best seller e antropologo di ascendenza modoc, un gruppo indiano della California, che viene, in tutta serietà, definito “di ascendenza francese, modoc e irlandese” nella presentazione del suo articolo intitolato Mixed Bloods (Sanguemisto) su Hungry Mind Review:

 Il mio defunto padre era indiano per via di vari gradi (di sangue) tramite entrambi i genitori, i quali erano loro stessi discesi attraverso la storia da un occasionale antenato inglese o francese. Mia madre è un’unione di merletto irlandese del Kentucky e svizzero dell’Indiana … dovettero andare in California per sposarsi. Io, come risultato, avevo molti parenti che erano più scuri di me e alcuni che erano più chiari e io potevo render conto di ogni tratto del mio essere tramite il riferimento a un pool genetico differente e coordinato nel colore“.

Per questo motivo Dorris, che per aspetto sembrava un irlandese, aveva di solito introdotto personaggi di ascendenza bi o tri-razziale nei suoi libri.
Ci sono però delle limitazioni alla scelta dell’etnia, secondo l’opinione popolare; uno non può cambiare totalmente la sua identità etnica, può solo optare all’interno di una scelta limitata, perciò il solo modo per cambiare identità assumendone una a cui non si ha titolo è di “passare“, cioè fingere di essere chi non si è ed è il solo modo per cambiare il proprio status razziale, una realtà per la quale non c’è rimedio. Molti indiani hanno finto di essere bianchi e molti mulatti chiarissimi hanno cambiato razza abusivamente quando queste etnie erano socialmente ai gradini più bassi, per migliorarsi e, talvolta, poter accedere agli studi. E’ il caso di molti individui tri-etnici (meticci indiani-bianchi o indiani-neri, indiani-neri-bianchi), come Lunga Lancia Figlio del Bisonte, la cui carriera di «indiano» finì tragicamente con un suicidio oppure, oggi che essere indiano comporta diversi vantaggi economici e ideologici, è il caso dei famigerati wannabe (da: I want to be, vorrei essere), bianchi che assumono un’identità indiana, perché hanno “da qualche parte” un antenato indiano. Altri sono bianchi che invece si “convertono” all’indianismo, cioè imitano lo stereotipo indiano e aderiscono alle varie etichette New Age. Gli indiani “autentici” vedono questi individui come fumo negli occhi e lanciano continuamente anatemi contro di loro, come ladri di religione e, perciò, di identità etnica e nazionale.

Blu, Karen I., The Lumbee Problem. The Making of an American Indian People, Cambridge University Press, Cambridge 1980, p. 204.
Gellner, Ernest, Nazioni e nazionalismo, Editori Riuniti, Roma 1985, p. 96.
Fabietti, Ugo, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p. 27.
Dorris, Michael, Mixed Bloods, in Hungry Mind Review. An Independent Book Review, http://www.bookwire.com/hmr/Review/dorris.html


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