Esiste una netta differenza nel pensare il concetto di creazione, se la pensiamo come "creazione continua" oppure come "creazione conclusa". Genesi 2,2 parla di una creazione conclusa dopo il sesto giorno: Dio vide che quello che aveva fatto era cosa molto buona e si riposò e pose fine a ogni sua opera. L'idea della creazione continua significa invece che noi possiamo pensare Dio come principio di tutte le cose perché le cose non sono già concluse ma richiedono sempre un eterno inesausto principiare.
L'affermazione biblica di Genesi 2,2 viene contraddetta nei capitoli successivi dove il giudizio sulla creazione come "cosa molto buona" trova numerose attestazionicontrarie: il racconto del serpente, l'assassinio di Abele da parte di Caino, quella scena difficilissima da decifrare dei figli di Dio che si innamorano delle figlie degli uomini e ne nascono i giganti, pagina da cui i primi padri della Chiesa videro l'origine del male e di Satana; poi il diluvio universale, Babele e la divisione delle lingue, la schiavitù dell'Esodo... Dunque come si può dire che la creazione è conclusa e che il mondo è tutto buono? In realtà la stessa Bibbia dice che il mondo è bene, ma non è il bene. Ed è per questo che la creazione necessita una continuazione, un lavoro continuo che si può chiamare amore, passione, sacrificio.
Noi cristiani adottiamo il modello della creazione e ci collochiamo più o meno a metà strada tra i due estremi, perché credere nella creazione significa che l'essere come appare, cioè il nostro corpo, gli animali, le piante, l'acqua, l'aria, tutta la realtà creata viene realmente da Dio, ma non è il Dio stesso. È bene ma non è il bene. L'essere creato è una realtà secondaria rispetto a una Realtà primaria da cui proviene.
Qui si inserisce il grandissimo problema del male che il modello della creazione continua aiuta a impostare in modo nuovo. Esso presuppone un processo in divenire e non una perfezione iniziale, di conseguenza il negativo del mondo non è interpretato come la conseguenza di un evento particolare pensato come ribellione, come colpa originaria che ha infranto la perfezione, per il semplice motivo che l'inizio non è perfezione. Lo stato iniziale del mondo è piuttosto pensabile come un quantum di energia informe e caotica che, a poco a poco, riceve forma producendo oasi di cosmo. Tutta la storia, biblica e non, è una continua lotta contro il caos, tutto il processo in cui siamo inseriti è logos più caos.
Anche i pensieri che escono dalla nostra mente sono l'esito di questa lotta continua tra logos e caos. Quando il logos riesce a vincere sul caos, si genera il cosmo; nella misura in cui abbiamo una mente ordinata, essa è cosmo, giardino, eden. Di fronte al disordine caotico dei pensieri un'anima capace di vivere secondo una spiritualità e dei valori, è cosmo, giardino, bellezza. Ma il giardino della nostra mente richiede che ogni giorno lavoriamo per dare ordine al caos perché il caos preme. Chi è il santo, il sapiente, la persona luminosa? Colui la cui esistenza è costantemente cosmo, giardino. La meta è raggiungere questo ordine, ognuno secondo il proprio stile, le proprie caratteristiche, la propria cultura, la propria tradizione spirituale. La meta è fare di noi stessi un giardino. Il caos però non è soltanto un fattore negativo, è anche la condizione perché possa nascere il nuovo. Se la vita fosse solo resistenza nei confronti del caos, la sua interpretazione sarebbe semplice, ma a volte il caos richiede l'apertura delle porte alla sua azione, che lo si accetti, talora persino che lo si incrementi. Per questo è così difficile vivere, perché il confine tra resistenza e resa è ogni volta da comprendere e definire.
Penso che il nostro tempo sia il tempo delle domande radicali: se non si affrontano le obiezioni potenti, se non si porta alla luce il negativo, se non si discutono i problemi alla radice, oggi non c'è possibilità di vivere responsabilmente e poi di trasmettere ai nostri giovani il patrimonio spirituale cristiano. Mi trovavo di recente a dialogare con un maestro buddhista, il quale mi diceva: voi cristiani siete decisamente più deboli dal punto di vista logico, siete meno preparati, non vi ponete le domande radicali sul fondamento di Dio. Siete più forti però per quanto attiene alla carità: quando apro il mio cuore all'amore capisco di essere in Dio e che Dio è in me, è questa l'esperienza essenziale dei cristiani. In effetti la spiritualità buddhista quanto alla capacità di generare pace attraverso la meditazione è più efficace. Il cristianesimo invece è drammatico, il suo simbolo è la croce, espressione massima di tragicità e di dolore. La stessa Bibbia è un testo drammatico, a volte persino tragico e violento.
Secondo il cristianesimo il rapporto tra Dio e il mondo non è un rapporto pacificato, è piuttosto dramma, lotta, lavoro, creazione continua. E richiede amore. Il cristianesimo è la religione dell'amore in quanto pathos-passione.
Noi cristiani torniamo sempre a parlare dell'amore e non possiamo fare altro. Ma l'amore cristiano è tensione, è espressione di un cuore e di un essere che tende a qualcosa di più grande e di più giusto di questo mondo, un amore inquieto che attende cieli e terra nuova per consolare gli afflitti e asciugare le lacrime del dolore innocente. Se togliete l'amore—tensione, l'insoddisfazione profonda che l'idea del bene veramente realizzato vi immette, le diverse forme di monismo panteistico sia orientali sia occidentali hanno ragione. La tensione etica dell'amore vi obbliga invece a guardare il mondo come un processo che ha elementi di positività, ma che contiene anche molta negatività, è una tensione che viene dall'amore e che produce amore come azione. Non è un caso che i diritti umani si siano affermati nell'occidente cristiano e non in paesi dominati da altre spiritualità — e lo dico senza alcuna accezione polemica, anzi ho un grandissimo rispetto per ogni tradizione spirituale, in particolare per il buddhismo, che ritengo sia la tradizione più profonda e più pura accanto al cristianesimo e credo che il futuro porterà a integrare sempre di più queste due tradizioni.
Se venisse meno questa tensione verso il primato dell'amore, il cristianesimo verrebbe meno. Cosa significa Dio è amore? Significa che il senso ultimo dell'essere è l'amore, non solo come eros o sentimento erotico, non solo come philia o amicizia appassionata per persone e cose, ma anche e soprattutto come agape, amore universale, dedizione gratuita, lotta per il bene e per la giustizia. La tensione verso l'amore che ho dentro di me in che rapporto sta con il mio essere natura, con il mio essere un pezzo di mondo? Quando amo, quando sono teso verso il bene e la giustizia, realizzo me stesso in quanto natura, o vado contro il mio essere un elemento naturale? Da questo dipende il rapporto tra spiritualità e etica da un lato, e tra fisica, biologia e cosmologia dall'altro. Chi accetta di guardare il mondo e la natura come creazione continua ritiene che vivere secondo il bene non sia qualcosa che si contrappone al proprio essere naturale, ma al contrario sia qualcosa che lo compie e lo perfeziona. Nonostante la mia grande ammirazione verso Simone Weil, io non condivido il suo ideale del bene e della giustizia pensati all'insegna della "decreazione", mi ritrovo piuttosto dalla parte di Etty Hillesum e di Teilhard de Chardin, di coloro cioè che ritengono che anche la materia partecipi alla santità, che tra spirito e materia non ci sia distinzione, e che quindi quando si lavora per il bene non si fa altro che potenziare la logica della creazione.
Se si esamina la creazione nel suo processo, si vede che la forma attraverso cui essa si sviluppa è la relazione: perché ci sia un'evoluzione rispetto al caos iniziale è necessario che gli elementi primari si intreccino in relazioni ordinate. La logica ultima delle cose è la relazione: più si inserisce energia positiva nel mondo potenziando le relazioni, creando armonia tra i diversi elementi, più ci si realizza, innanzitutto come essere naturale. Realizzarsi cosa significa? Diventare più reali, più veri, significa aderire di più al reale.
Credere cristianamente alla creazione significa pensare che il rapporto tra la Realtà primaria tradizionalmente detta Dio e la realtà secondaria tradizionalmente detta mondo è consegnato in modo esemplare, paradigmatico, normativo, nella vicenda di Gesù. Significa credere che la vicenda di incarnazione, passione, morte e resurrezione ben lungi dall'essere solo una storia avvenuta duemila anni fa, ci consegna qui e ora la logica eterna mediante cui si dà il rapporto tra Realtà primaria e realtà secondaria. Perché si possa dare evoluzione in questo mondo, perché vi sia vittoria del cosmo contro il caos, occorre immettere lavoro nel sistema-mondo e questa immissione di lavoro è passione. Questa passione si chiama amore, ma si può chiamare anche croce. La croce in questa prospettiva non è più dolorismo, dietro la croce c'è qualcosa di molto più profondo, perché la vicenda che ha riguardato Gesù di Nazaret duemila anni fa è la rappresentazione di una logica perenne che da sempre, anche ora, contrassegna il rapporto Dio — mondo. I Vangeli testimoniano che la logica mediante cui il mondo si fa, richiede che si salga a Gerusalemme, si venga perseguitati e qualche volta si giunga a versare il proprio sangue. Questa logica è esemplificata nella vita dei martiri ecclesiali e dei martiri civili di tutti i tempi, di quelle persone che hanno dato la vita per introdurre giustizia e ordine vitale in questo mondo. Oscar Romero sapeva benissimo che sarebbe stato ucciso, allo stesso modo lo sapevano Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, Giorgio Ambrosoli, il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Isaac Rabin...
Ha scritto Platone, quattro secoli e mezzo prima di Cristo: il giusto, proprio per i suoi atteggiamenti, sarà flagellato, torturato, gettato in catene, gli saranno bruciati gli occhi e da ultimo, dopo aver patito tutti questi mali, verrà affisso al palo. Molti padri della chiesa hanno definito Platone un profeta: è vero, ma non profeta del Gesù storico, bensì del Cristo cosmico, di quella logica divina che necessariamente incontra opposizione nella misura in cui vuole realizzare in questo mondo il bene e la giustizia.
Il 13 febbraio 1937 un matematico, teologo e sacerdote russo, al quinto anno di prigionia in un lager russo, detenuto per non aver voluto abiurare la propria fede, smentita vivente dell'ideologia comunista secondo la quale sarebbe bastato studiare per far cadere dalla mente tutte e superstizioni della religione, Pavel Florenskij scrive alla moglie Anna Giacintova: Sì la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone poi il fio con sofferenze e persecuzioni, e più il dono è disinteressato più crudeli sono le persecuzioni e dure le sofferenze, tale è la legge della vita, il suo assioma di base. È per questo che noi cristiani crediamo alla creazione continua attraverso l'amore, ovvero attraverso la croce.
Vito Mancuso in “Oreundici” del giugno 2013 - www.chiesavaldesetrapani.com
(Articolo tratto dalla conferenza al convegno di Roma 2013, rivisto dall'autore).