Altra dolente nota viene dal quantitative easing di Draghi che avrebbe dovuto fare faville, ma che si è rivelato più che una misura economica un gancio politico per agitare speranze e contenere i malumori, procastinare in tutti i modi il riconoscimento della natura disfunzione dell’euro. Di fatto in presenza di una crisi ormai sistemica della domanda l’immissione di denaro non ha avuto gli effetti sperati, non ha significativamente alzato i prezzi ( e per fortuna qualunque cosa ne pensino gli economisti main stream), non ha davvero rimesso in moto il credito perché le aziende hanno preso denaro a costo basso per ripagare i vecchi debiti più onerosi e di certo non pensano a investimenti che si scontrerebbero con una domanda stagnante. Se poi si tiene conto che il denaro del QE è di fatto garantito dalle banche nazionali e dalle tasse presenti e future, si ha la misura del disastro o meglio la trappola in cui si è andati a cacciare perché le misure per sostenere la cosiddetta moneta unica mettono le basi per il suo disfacimento. Una contraddizione che annuncia l’artificialità di certe logiche e la loro gestione in funzione politico sociale che ha come suo presupposto operativo che sia un coacervo di poteri sovranazionali non eletti a sostituire nelle decisioni quelli elettivi nazionali. Non a caso le nuove regole bancarie porteranno direttamente alla fine progressiva del sistema creditizio nazionale, lasciando ogni decisione, compresa quella sulle tasse, alla troika.
Benvenuti dunque nel 2016 nel quale l’unico elemento visibile e ipotizzabile di crescita sarà essenzialmente legato alla liberazione della piccola evasione grazie all’aumento del limite di utilizzo del contante. E del resto è persino ovvio, visto che ormai l’unica sovranità realmente rimasta in economia come in politica pare essere è quella della corruzione.