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La crescita e l’occupazione nella crisi generale del sistema

Creato il 30 maggio 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

Continuano gli interventi chiesti ad alcuni economisti sui 5 o 6 provvedimenti prioritari per rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia. Sono state già pubblicate le risposte di Pini, Pettenati, Messori, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni e Costabile (prima parte).

Oggi risponde Anna Pellanda

Prof. ordinario di Economia Politica, Univ. di Padova

lavoro
L’invito a proporre misure per rilanciare la crescita e l’occupazione è molto stimolante. Altri colleghi hanno già risposto e le loro indicazioni sono tutte validissime. In questo breve articolo si vuole riflettere sul perché si sia giunti in Italia ad un livello così basso non solo in termini di crescita e disoccupazione ma di degenerazione morale e civile.

Le motivazioni economiche sono sì esplicative ma restano al contingente, ai fatti. Qui si vorrebbe andare al fondamentale, alle ragioni prime se è vero, sulla lezione di Romagnosi, che l’ordine di fatto è illuminato dall’ordine di ragione. L’“ordine di fatto” è molto deprimente e si palesa in una estesissima crisi di istituzioni quasi quotidianamente denunciata. A detenere il primato della corruzione sono organismi preposti alla gestione di fondi pubblici e alla conduzione della finanza, della tassazione, della cura ambientale ecc. ecc. E se il sistema nei suoi gangli dirigenziali è marcio, a cascata marciscono l’impresa e la famiglia.

Ricorrente nella stampa giornalistica e specialistica è l’accusa ai mercati, ma i mercati siamo noi. Pluridirezionali sono le denunce alla politica, ma i politici li eleggiamo noi. Dolenti e tragiche sono le cronache familiari ma a comporre le famiglie concorriamo tutti noi. È quindi tempo che si vada con “l’ordine di ragione” in profondità a scandagliare il dramma del sistema guardando con coraggio alla “nudità” dell’uomo. Un uomo, quello odierno, che è eminentemente ignorante non perché non è acculturato dal sapere superiore o universitario ma perché manca del senso di responsabilità nel lavoro e di rispetto nelle relazioni umane. Questa profonda, diffusissima ignoranza è dovuta all’abdicazione della formazione nella scuola pubblica e nella famiglia.

L’Italia non ha le grandi scuole di amministrazione pubblica o di formazione sociale che altri paesi europei hanno o avevano. Ha quindi bisogno di una struttura portante che educhi sin dall’infanzia al dovere a fronte dei diritti, alla responsabilità a fronte della libertà, alla disciplina a fronte della spontaneità. Solo così il politico verrà eletto in base ai suoi programmi di benessere pubblico, i mercati saranno regolati da leggi anti-trust, gli individui si rispetteranno a vicenda e così su per la china della rettitudine e dell’efficienza.

Se causa prima di crisi è l’uomo, causa seconda o rimedio è la sua formazione. Quindi la proposta per avere crescita deve puntare a sostenere con più mezzi possibili la scuola da quella dell’infanzia alla superiore. Chiaramente deve essere pubblica perché l’istruzione è un bene pubblico non divisibile, non escludibile e con prezzi tariffati; ma il concorso del privato, se rispettoso del dettato costituzionale, non deve essere né privilegiato né penalizzato. Importante è che l’impianto comune sia l’educazione civile che prepari fin dai primissimi anni l’individuo all’inserimento sociale. Tagliare la spesa pubblica destinata all’educazione è il più grande errore che i programmi politici in questo Paese hanno fatto e forse continueranno a fare.

Certamente come in tutti i settori pubblici vanno evitati sprechi, clientelismi e parassitismi. E ovviamente si dovrà tener conto che i beni pubblici non sono pochi. Ma prioritaria tra tutti è la scuola perché elemento portante della sanità, della giustizia, dell’ordine pubblico, della cultura artistico-paesaggistica, della cura ambientale. Solo con una scuola qualificata ed efficiente si crea la società civile e si stimola l’occupazione professionale. Più formati sono gli individui e più elevata è la loro produttività in tutti i campi. Più essi sono produttivi e più vengono richiesti e più si riduce la disoccupazione.

È quindi evidente il ruolo portante della classe insegnante che deve saper formare i cittadini non i sudditi. È necessario che i maestri della prima infanzia e i docenti delle scuole successive vengano selezionati in base alla loro preparazione tecnico-culturale e non per assistenzialismo pubblico o per raccomandazioni private. È indispensabile che vengano sottoposti a regolari verifiche per sondare il loro grado di aggiornamento culturale e di capacità didattica. Anche i programmi scolastici devono essere regolarmente testati perché non ricadano in possibili e noiose esercitazioni pseudo-culturali con nessun legame all’impegno civile e morale degli studenti.

Questo è chiaramente un piano a lungo termine ma l’urgenza di realizzarlo ne giustifica l’immediata adozione. Se si riuscisse a riformare nel senso anzidetto il sistema scolastico deriverebbero a cascata benefici là dove oggigiorno più necessari. A cominciare dalla piaga dell’evasione fiscale, specchio impietoso dell’ignoranza morale degli italiani legati alla visione dello stato-nemico e non di casa comune. Ma tutte le classi sociali beneficerebbero di questa formazione di base a cominciare da quella politica oggi prevalentemente dedita a coltivare i propri interessi personali. Anche i professionisti verrebbero rinnovati dai banchieri, che non devono più speculare sui depositi dei risparmiatori, ai magistrati che non possono più dilazionare i tempi della giustizia come attualmente succede trasformando il loro compito in “massima ingiustizia”.

Le leggi stesse, emanazione precipua dei governanti responsabili, devono rispecchiare l’impegno per la crescita e l’occupazione. Prioritaria attenzione, nella stretta economica odierna, va data all’imprenditorialità che deve essere incoraggiata dal ridimensionamento del costo del lavoro attraverso la riduzione del cuneo fiscale e dalla revisione dell’IRAP. Altra indispensabile riforma legislativa riguarda la burocrazia che attualmente vessa non solo gli operatori economici ma tutti i cittadini. Solo agendo sugli individui si curano i mali italiani perché questi non sono imputabili ad astratte istituzioni o a lontane responsabilità ma sono miserie di uomini incapaci di “essere norma a se stessi”.


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