In riferimento agli ultimi avvenimenti nella penisola di Crimea, che ricordo è abitata prevalentemente da russi (oltre che da una minoranza tatara), l’analista russo Boris Novosel’zev nel suo articolo Krym Russkaja zaščita’i (“Crimea, difesa della Russia”), presenta una valida analisi degli ultimi fatti, non solo su ciò che sta avvenendo in Crimea ma, allargando il focus, anche su questioni geopolitiche ed economiche relativamente al cambio di potere avvenuto a Kiev il 22 febbraio.
Eccone alcuni spunti in sintonia con alcune mie riflessioni. Gli eventi in Crimea di questi giorni attirano l’attenzione di tutto il mondo, i media occidentali parlano di “aggressione”, “d’intervento” della Russia in Ucraina. Mosca viene accusata di trovare il pretesto per annettersi una parte del territorio ucraino, tuttavia il fatto che la Russia (come qualsiasi paese “degno” di questo nome) stia invece responsabilmente tutelando gli interessi dei suoi compatrioti è completamente ignorato.
Nemmeno imbarazza il fatto che, nonostante Yanukovich, il legittimo presidente dell’Ucraina, appena prima della sua capitolazione abbia firmato con i rappresentati dell’opposizione e dell’Unione europea un accordo sulla risoluzione della crisi, l’Occidente con i suoi partner abbia subito dopo realizzato un golpe per destituirlo. Una simile inopportuna risposta proprio perché tale accordo andava a minacciare il gioco geopolitico occidentale sulla “Grande Scacchiera”.
Tale piano, iniziato con una serie di “rivoluzioni colorate”, mentre ha cominciato a scivolare indietro nei paesi dell’Asia centrale, ha ottenuto nuovo respiro col colpo di stato a febbraio in Ucraina. Qui, la classica messa in scena di una “rivoluzione colorata” è stata rinnovata dalla combinazione di “pacifiche” proteste di piazza con l’azione di miliziani determinati a tutto. Questa combinazione si è rivelata particolarmente efficace sulla spinta dei risentimenti popolari verso Viktor Yanukovych; tuttavia, gli autori hanno premuto sulle dinamiche della protesta per ottenere tutto e in una sola volta. Appunto per questo, l’Occidente maldestramente ha violato il tanto auspicato accordo del 21 febbraio, tanto che, già il giorno dopo, il 22 febbraio, si è abbattuto il colpo di stato decretato dalle capitali occidentali.
Queste azioni dimostrano che l’Occidente è impegnato a giocare il suo gioco geopolitico, senza considerare la Russia come un partner alla pari con i suoi interessi legittimi nello spazio ex-sovietico. La limitata reazione della Russia a tutto ciò che stava succedendo a Kiev dalla fine di novembre è stata vista come una debolezza o un’indifferenza, e non come un normale rispetto per i processi politici di uno Stato sovrano; immediatamente l’Occidente si è fatto abbagliare dalle prospettive che sembravano aprirsi davanti ai suoi occhi: attuare un colpo di Stato in chiave anti-russa a Kiev. I primi passi del nuovo regime hanno chiaramente mostrato dove soffia il vento: mostrando esplicitamente la sua totale russofobia, non a caso il primo provvedimento del nuovo potere è stato l’abolizione della lingua russa come lingua regionale per le minoranze, di fatto condannando alla discriminazione i cittadini russofoni (s’inizia con la lingua e poi?).
Dobbiamo però aver il coraggio d’affermare che tali misure, nel quadro della geopolitica occidentale, rappresentano solo una fase intermedia. Seguendo questo percorso, il primo passo è stato cercar di colpire la presenza della Flotta russa del Mar Nero nella base navale di Sebastopoli in Crimea. Subito dopo il colpo di stato a Kiev si è parlato della necessità di rompere immediatamente gli accordi di Kharkov1. Le “teste calde” dell’opposizione, richiamandosi alla sovranità nazionale, avrebbero voluto stracciare questo importante trattato tra Ucraina e Russia, dimenticando che, attraverso lo stesso trattato, la Russia riconosce la sovranità dell’Ucraina; strappare tale accordo avrebbe messo Kiev davanti a seri problemi.
Forzare la Russia a ritirare la sua flotta da Sebastopoli prima dei termini concordati avrebbe causato un duro colpo a tutta la regione del Mar Nero. Anche se la nuova base di sostituzione per la Flotta russa del Mar Nero sarà pronta in anticipo, prima della scadenza dei termini previsti dal trattato, un suo ritiro anticipato da Sebastopoli avrebbe comunque dato a tutti un segnale negativo: “una Russia debole, influenzabile dalla situazione in prossimità dei suoi confini che si ritira sotto la pressione dell’Occidente”. Questo è inaccettabile! Nemmeno si pensi che la strisciante occupazione dell’Ucraina possa comportare il successo di “un’esportazione della rivoluzione” addirittura in Russia, anche se un simile tentativo di destabilizzare l’intero spazio post-sovietico è stato comunque senza dubbio ipotizzato.
Da un punto di vista economico il colpo di stato a Kiev dovrebbe colpire entrambe le economie di Russia e Ucraina. L’Europa, con chiarezza, ha già fatto sapere che non è interessata all’industria ucraina e alla sua produzione di alta tecnologia. L’Ucraina nel migliore dei casi verrà relegata al ruolo di una provincia agricola sottoposta ad uno spietato sfruttamento delle sue fertili terre, anche con la coltivazione di colture transgeniche. Oltre a ciò, il crollo dell’industria ucraina metterà a repentaglio gli stretti rapporti di cooperazione tra le due economie, russa e ucraina. Da un lato si vuole indebolire l’economia russa (gran parte delle industrie del Sud-est dell’Ucraina oltre a essere coinvolte nelle economie dei paesi dell’Unione doganale, collaborano attivamente con il complesso militare-industriale russo), e, dall’altro, soffocare l’Ucraina sotto gli eventuali prestiti che dovrà contrarre.
Non vi è il minimo dubbio che nel caso si arrivi a un consolidamento del colpo di stato a Kiev, si assisterà presto ad una rapida entrata dell’Ucraina nella NATO, con i soliti logori pretesti di “proteggere gli interessi nazionali”, “concludere la riforma delle forze armate” ecc. Sarà difficile contrastare questo passo nel quadro di una particolare disorganizzazione politica del Sud-est, con un Paese non governato dalla legge, ma da un “opportunismo rivoluzionario”. Naturalmente, non è realistico ipotizzare che elementi del sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti possano venir installati in qualche parte da Lugansk a Donetsk, o come pure a Dnipropetrovsk, a circa 1.000 km dai centri vitali della Russia senza alcuna reazione da Mosca.
Certamente la difesa missilistica sarà solo una frazione della possibile espansione della presenza militare NATO in Ucraina. Se già adesso gli americani ammettono di voler istallare sul territorio dell’Ucraina laboratori di virus2 come sarà quando scomparirà anche l’ultima resistenza? Come potrà la Russia assistere inerme all’accerchiamento della NATO intorno ai suoi confini, come pure attorno ai milioni di russi che vivono in Ucraina senza nessuna reazione? L’Occidente nei suoi giochi geopolitici ha toccato una “linea rossa” oltre la quale si arriva a una grave violazione dell’equilibrio geopolitico, non solo del Mar Nero, ma potenzialmente di tutta la regione eurasiatica. Gli interessi della Russia nella regione non sono fantasie, ma una realtà con la quale l’Occidente dovrà prima o poi confrontarsi.
Il dialogo tra la Russia e l’Occidente non può e non si potrà sempre sviluppare come un permanente ritiro della Russia dalle sue posizioni. Quello che sta accadendo oggi in Crimea e in Ucraina, nel suo insieme, dimostra ancora una volta che una “tenace resistenza” al tentativo di espandere il blocco euro-atlantico verso Est è di gran lunga il più efficace strumento di dialogo, e di persuasione verso coloro che in Occidente continuano a ignorare sistematicamente il diritto internazionale e i principi della sovranità nazionale.
I russi rispetto a molti americani e europei vantano una memoria molto più lunga. Non hanno dimenticato la promessa, fatta a Gorbaciov, puntualmente calpestata dall’Occidente, di non spostare la linea della NATO ad Est, come non si sono dimenticati di tutte le “rivoluzioni colorate” scoppiate attorno ai propri confini, nemmeno dei vari bombardamenti degli Stati Uniti – NATO ovunque col pretesto di esportare diritti umani e democrazia. I russi ricordano bene: com’è finita l’ex Jugoslavia, il pieno sostegno dato dall’Occidente all’attacco di Saakashvili contro l’Ossezia del Sud, l’attuale dispiegamento di missili attorno alla Russia… una spirale di sangue e di instabilità che si sta sempre più stringendo attorno ai propri confini.
Per la Russia la crisi ucraina si è ormai trasformata in una sua questione vitale. Stati Uniti e Unione Europea dovrebbero capire, che questo non è più solo un problema “ucraino”: ora sono loro stessi a rischiare di finire in rotta di collisione con la Russia. Devono almeno aver il coraggio di dire le cose come stanno, assumendosi le proprie responsabilità per aver condotto un ruolo di prim’ordine nel creare e potenziare una crisi dagli esiti ancora incerti.
I russi sono un grande popolo; la Russia, come la storia ci insegna, il Grande Paese di sempre, che non si sottrarrà all’imperativo storico e morale di difendere, anche con la forza, se necessario, il proprio popolo sia dentro, che al di fuori dei propri confini.