La Crimea, luogo dell’immaginario russo

Creato il 02 aprile 2014 da Eastjournal @EaSTJournal


di Ruth Maclennan (trad. Matteo Zola)

Maximilian Voloshin è uno dei più importanti poeti russi, nato a Kiev nel 1877 fu il padre del simbolismo russo ma la sua eredità più importante non si trova nei poemi e nei versi, bensì in una casa. Nel 1983 la madre di Voloshin  acquistò una piccola abitazione nel villaggio di Koktebel, in Crimea, che presto divenne rifugio per il figlio e per i suoi amici poeti, artisti, filosofi e scrittori che da Mosca e Pietroburgo lo venivano a trovare passando alcuni mesi presso quella dimora, piccola Atene in riva al mare dell’Ottocento.

A Koktebel la poetessa  Marina Tsvetaeva incontrò il suo futuro marito, Sergei Efron: erano poco più che adolescenti quando si innamorarono su quella spiaggia della Crimea. A Koktebel il poeta Mendelstam si divertiva a scandalizzare i locali con i suoi capelli lunghi e il suo modo disordinato di vestire. A Koktebel la poetessa Anna Achmatova si faceva affascinare dall’esotismo di una regione mediterranea, abitata da genti musulmane, carica di storia e bellezza, con fiordi a precipizio sul mare caldo.

La casa di Voloshin era diventata una colonia per poeti, e Mendelstam rese la Crimea celeberrima grazie al suo poema Feodosia, ode alla città tatara di Kaffa. La penisola divenne nell’immaginario della Russia pre-sovietica, un piccolo paradiso selvaggio, pieno di vita e magia. Persino lo zar e la famiglia reale cedettero al fascino della Crimea e mossero, nei tardi anni Novanta del secolo, dall’imperiale Pietroburgo alla piccola Livadia, a sud di Yalta, dove sua maestà si fece costruire un palazzo estivo.  Quando il tempo delle maestà rovinò sotto i colpi dell’ingiustizia sociale, e il nuovo potere sovietico si consolidò, la Crimea divenne il premio per gli operai più instancabili, il sogno erotico di masse proletarie prigioniere dell’era dell’acciaio.

Ma la Crimea non fu soltanto il sogno dei letterati borghesi o delle classi operaie, fu anche teatro per orribili tragedie storiche: dalla Guerra di Crimea (1853-1856) alla Guerra civile (1918-1923) quando i “bianchi” fedeli allo zar furono gli ultimi ad arrendersi al nuovo esercito rosso. Nel 1944 la popolazione locale fu deportata dalla paranoia di Stalin, i tatari di Crimea vennero cacciati dalle loro case, internati in campi di lavoro, ricollocati nelle steppe. I toponimi tatari vennero cambiati con nomi russi, nelle case tatare andarono a vivere russi e ucraini. Yalta divenne un importante centro termale dove i ricchi rampolli della capitale venivano a curarsi la tubercolosi come già, tre decenni prima, fece Anton Cechov. A Yalta si incontrarono i vincitori dell’orrenda guerra e a Yalta venne deciso un folle destino d’acciaio per l’Europa centro-orientale.

Dopo la caduta dell’impero sovietico, la tristezza meccanizzata lasciò il campo ai baccanaliKoktebel divenne una rinomata località dove praticare il nudismo, con alberghi presi d’assalto dai sempre più numerosi turisti occidentali attratti dal libertinismo che caratterizzò i primi anni del post-sovietismo un po’ in tutto l’est europeo. Oggi, tra le bancarelle e le ciabatte dei bagnanti, si può ancora visitare – per un vicolo scuro – quella che fu la casa di Voloshin, la casa dei poeti della Russia amata.

Questo articolo è una versione (non una vera e propria traduzione) di The Crimea of Russia’s imagination, di  Ruth Maclennan, scritto per BBC.

Foto: dr_tr, flickr


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