Il calcio italiano è affetto da una grave patologia: la dipendenza dai ricavi provenienti dalla vendita dei diritti audiovisivi e l’incapacità di diversificare i propri guadagni. Questo è quanto rileva l’Istituto di ricerca Eurispes, che nelRapporto Italia 2013 ha analizzato i Report Calcio 2011 e 2012 del gruppo Figc – Arel e in particolare i dati ricavati durante le stagioni calcistiche degli ultimi tre anni.
I conti, quindi, non tornerebbero. Eppure solo qualche tempo fa, avevamo già affrontato l’argomento e la situazione non sembrava così drammatica, almeno per i grandi club.
Le troppe spese, legate soprattutto all’elevato costo del lavoro (pari al 65% del fatturato totale), non riescono ad essere ammortizzate dai ricavi delle società, incapaci di sfruttare al meglio l’enorme bacino d’utenza a disposizione. Basti pensare che secondo le stime dell’Eurispes ben sette italiani su dieci seguono il calcio professionistico italiano.
Ma i dati, messi a confronto con quelli rilevati nei principali movimenti europei, mettono in luce tutte le difficoltà del calcio italiano, i cui ricavi dipendono in maniera eccessiva dai diritti televisivi. Le società italiane sembrano non conoscere fonti di guadagno altrettanto consistenti e ciò fa sì che la maggior parte dei club si trovino con i bilanci in rosso.
“Nel 2011 – si legge nel rapporto dell’Eurispes – si registra un debito pari a 2,6 miliardi di euro, con una perdita netta di 428 milioni di euro, in crescita del 23% sulla stagione 2009/10. Su 107 club solo 19 hanno chiuso con bilancio positivo e 6 di questi sono di Serie A”.
Un tempo, le casse delle società venivano riempite dai proventi delle vendita dei biglietti. Ora, invece, gli incassi al botteghino si riducono di anno in anno.
“Una tendenza significativamente condizionata dall’avvento della pay tv che ha contribuito fortemente a far cambiare le abitudini dei tifosi appassionati”. Ma non c’è solo questo. Il tifoso preferisce seguire la propria squadra guardandola dal divano di casa anche per altri motivi: gli stadi italiani, strutture fatiscenti e poco accoglienti e “l’aumento del costo del biglietto d’ingresso o dell’abbonamento alle partite”.
“Oggi il calcio professionistico è un sistema che si sta avvitando su se stesso – rileva l’Eurispes – nell’ultimo quadriennio in Italia sembra aver raggiunto circa 1.375 milioni di euro di perdite tra le quali 428 milioni solo nella stagione 2010/2011″.
Per la prima volta dalla stagione calcistica 2003-2004, i ricavi iniziano ad abbassarsi. La causa sono le minori entrate da parte della biglietteria: si registra infatti una minore presenza negli stadi (-8%), causata dell’aumento dell’audience televisiva e dei diritti audiovisivi (-6%) e anche dalla ridotta partecipazione delle squadre alle competizioni Uefa, che ha causato una perdita, in diritti televisivi e audio, pari a 34 milioni di euro fra Champions e Europa League.
“Gli ultimi quattro anni – sottolinea il rapporto – sono stati caratterizzati da una stabilità precaria nei ricavi da diritti audiovisivi (che iniziano a crescere a partire dalla stagione 2011/12) con una crescita significativa dei ricavi dagli sponsor e attività commerciali (+27%)”.
In particolare è lo sponsor ufficiale, quello che trova spazio sulla maglia da gioco per intenderci, a garantire al club gli introiti maggiori del settore con il 58,3% del totale. “Il suo peso specifico – rileva l’Eurispes – è cresciuto in misura rilevate nelle ultime due stagioni, da 85 milioni di euro nel 2007/2008 a 126 milioni nel 2009/2010″.
Sembrano scendere invece i costi operativi rispetto alla precedente stagione e si registra ancora un elevato costo del personale che rappresenta il 72% dei ricavi. È anche aumentato il costo del lavoro (+22%) raggiungendo la quota di 1,6 miliardi di euro all’anno pari al 65% del fatturato. Inoltre, “se nel concetto di costo del lavoro, oltre agli stipendi, s’inserissero anche gli ammortamenti dei diritti delle prestazioni dei giocatori, tale valore salirebbe all’89,7% al netto delle plusvalenze”.
“L’attuale situazione patrimoniale – avverte l’Eurispes – è meno rassicurante rispetto al passato poiché, se il valore patrimoniale della Serie A è cresciuto nell’ultimo quadriennio (+21%), l’incremento non è dovuto alla maggiore autonomia delle squadre, che nello stesso periodo hanno generato importanti perdite di esercizio. Basti considerare il solo livello di Ebit che ha generato una perdita nel quadriennio stimabile in 720 milioni di euro. I debiti sono cresciuti di 766 milioni di euro: il 66% attraverso l’indebolimento bancario passato da 422 milioni di euro a 928 milioni di euro; per il 22% mediante l’aumento del debito commerciale e per il 18% allungando i tempi medi di pagamento dei giocatori acquistati in Italia”.
Nello stesso periodo si sono abbassati anche i debiti tributari verso le società del gruppo, sono aumentate le conversioni dei finanziamenti soci in copertura delle perdite o i proprietari delle squadre di calcio hanno ridotto il proprio apporto finanziario alle squadre. I ricavi derivanti dagli sponsor e dal merchandising, nel triennio 2007-2010, hanno registrato un andamento crescente (Cagr 2007-2010, +8,3%).
E’ aumentato anche “il peso specifico” dello sponsor ufficiale, cresciuto in misura rilevante nelle ultime due stagioni, passando dagli 85 milioni di euro nel 2007/2008 ai 126 milioni nel 2009/2010.
Per concludere, i dati contenuti nel rapporto Eurispes sono decisamente poco rassicuranti per il mondo del pallone. Tuttavia, c’è ancora una via d’uscita. “La sostenibilità e la competitività del sistema calcio – si legge nel Rapporto Italia 2013 – si raggiungeranno attraendo nuovi investitori, manager di qualità e nuove tipologie di tifosi; la combinazione di tutto ciò è alla base di un cambiamento che porterà a infrastrutture, giovani talenti, nuove fonti di ricavi e maggiore qualità nella gestione delle strategie di business”.(Anche su T-Mag)
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