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La Crisi della Scena Musicale Italiana: Cause, Soluzioni, Prospettive Volume 1

Creato il 28 maggio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Crisi della Scena Musicale Italiana: Cause, Soluzioni, Prospettive Volume 1

"Quanto durerà ancora?". Questa la domanda che gli appassionati di musica (almeno quelli più informati) si pongono sempre più di frequente. In molti ormai temono, ed a ragione, che le fondamenta su cui si basava l'industria discografica ed il mondo di chi "produce musica" siano vacillanti. E nel frattempo l'ascoltatore medio non ha né il tempo né l'interesse a speculare sul problema: consuma ciò che offre il mercato. Già il mercato! Un'etichetta di comodo che compendia il variegato universo delle realtà che operano nell'indotto musicale. Gli operatori del settore (case discografiche, giornalisti specializzati, organizzatori di eventi, ingegneri del suono, arrangiatori, distributori, negozianti), a causa della "rivoluzione del web", si trovano in recessione e rischiano di sparire dal sistema produttivo. Prima dell'avvento di internet, l'industria discografica era prospera e puntava molto sulla qualità degli artisti e sull'originalità della proposta investendo notevoli capitali. Per i musicisti (sia solisti che gruppi) esser selezionati da una grossa etichetta (major) equivaleva a vincere la lotteria! Le loro vite cambiavano radicalmente proiettandoli in un mondo fatto di successi e notorietà, ma anche di eccessi, vizi e stupefacenti. E non di rado capitava che manager senza scrupoli inebetissero i loro "talentuosi" burattini per sottrarre gran parte degli incassi. Ogni medaglia ha sempre il suo rovescio!

Oggi i musicisti non godono più del divismo isterico (salvo eccezioni) che li ammantava di un'aura fiabesca: i calciatori ed altri sportivi che vantano ingaggi da capogiro li hanno sostituiti nell'immaginario collettivo.

L'industria del disco era talmente vantaggiosa da consentire a piccole realtà indipendenti (le "indie") di ritagliarsi il proprio spazio e di scoprire talenti promettenti destinati alla celebrità. Non poche di queste etichette sono assurte al ruolo di major grazie ad un proprio parco artisti ( roster) d'indubbio valore! Insomma, si puntava molto sui nuovi talenti.

La figura dello scopritore di talenti attualmente è un mestiere in estinzione. Eppure, vi sono grosse realtà discografiche che ancora non demordono e mantengono in auge le strutture gerarchiche pre-internet. C'è anche chi riunisce in una sola persona svariate mansioni: è il caso di "Casco d'oro" Caterina Caselli che oggi rivive una nuova giovinezza. Talent scout, supervisore, produttore, manager sono i ruoli che svolge con pieno successo ed i tanti artisti lanciati ne sono testimonianza (Negramaro, Elisa, Andrea Bocelli, Malika Ayane, Avion Travel, Raphael Gualazzi, Giovanni Caccamo).

Non possiamo poi dimenticare che esistono realtà imposte al grande pubblico scopiazzando procedure già in uso da tempo all'estero: si tratta di formule create "a tavolino" applicando strategie di marketing e pianificazioni economiche che nulla hanno di diverso rispetto a quelle usate per il lancio di un prodotto industriale preconfezionato! Ecco dunque sorgere personaggi e band che esauriscono in un lampo il loro ruolo, consumati e destinati al dimenticatoio come se fossero l'incarto di uno snack o un capo d'abbigliamento modaiolo. A fronte di una valanga di videoclip, concerti dal vivo in TV o in rete, i medesimi artisti e l'indotto musicale subiscono perdite notevoli di fatturato: pochi dischi venduti, concerti cancellati o scarsa affluenza alle esibizioni. Il fenomeno non interessa soltanto coloro che sono poco noti ma coinvolge pure i più affermati. Persino i "mostri sacri" che spopolavano tutte le classifiche riconoscono gli effetti di un fenomeno ormai diffuso su scala planetaria. Nel bel paese, poi, la situazione è davvero drammatica...

L'esterofilia è la "piaga" incurabile che tarpa le ali all'intero indotto musicale italiano! Per meglio spiegarci succede in pratica che chi considera esclusivamente i generi musicali e gli artisti provenienti dall'estero spesso snobba la produzione locale giungendo, addirittura, a boicottarla. Esiste però una realtà parallela che coinvolge direttamente gli artisti o i gruppi musicali italiani: soprattutto nella produzione rivolta ad una fascia d'età compresa tra l'adolescenza e la maturità, i brani immessi sul mercato risentono di una sorta di "plagio", una "maniera" ricalcata su modelli stranieri! Basti citare gli innumerevoli cloni della defunta Amy Winehouse (Giusy Ferreri, Alessandra Amoroso, Malika Ayane). Gli operatori del settore puntano su questi cloni cercando di bissare il successo che gli originali riscontrano presso il grande pubblico.

Ma come si è radicata l'esterofilia così profondamente nel costume italico? Si tratta di un processo che ha impiegato più di un secolo andando di pari passo con l'imposizione di quel "modello anglosassone" che diventa vincente soltanto all'indomani della Seconda guerra mondiale. Del resto l'Europa e l'Italia, di riflesso, fino a quei drammatici avvenimenti non erano state pesantemente influenzate dalle mode e dai costumi provenienti da oltreoceano ed avevano mantenuto una propria identità. Ciò non ha ovviamente impedito agli artisti europei d'integrare i loro repertori con apporti provenienti dall'estero. In alcuni casi si è trattato di eseguire brani tradizionali facendo ricorso a strumenti musicali d'importazione; in altri, si è adattato semplicemente il genere musicale nuovo alle esigenze linguistiche e fonetiche. Infatti, in Italia, sin dai primordi del jazz dei primi anni '20 del Novecento (c'era il charleston), si era introdotta la novità proveniente dagli U.S.A. che aveva trovato spazio accanto all'operetta e alle fanfare paramilitari che costituivano la gran parte della musica per la massa. Gruppi, cori o cantanti solisti eseguivano i loro vocalizzi su un tappeto sonoro che risentiva degli apporti afro-americani. In ogni caso, l'Italia sviluppava una propria "versione" filtrata e adattata al proprio costume.

Non si trattava di mera imitazione (come pochi decenni dopo sarebbe accaduto), ma di una nuova formula espressiva da affiancare ai generi nostrani già consolidati. In breve, ciascuna nazione europea, pur accogliendo il nuovo palesava una marcata "matrice" propria che avrebbe dato risvolti inaspettati e originali se non fosse sopraggiunto il "massificante" modello anglosassone imposto col famigerato Piano Marshall! Nonostante lo sdoganamento della "maniera d'oltreoceano" e la modifica radicale dei costumi nazionali, in Italia così come in altre realtà europee, una minoranza d'irriducibili si trincerava osteggiando tutto ciò che il "nuovo" imponeva. Tale tradizione si è protratta nel tempo ed alcuni esponenti di spicco hanno ottenuto i grandi favori del pubblico (si pensi, ad esempio, a Claudio Villa o ai tenori pop degli ultimi anni: Andrea Bocelli, Il Volo).

Un caso a parte è rappresentato da coloro che pur accogliendo gli apporti della musica straniera hanno però difeso la tradizione popolare generando una formula "tutta italiana" che ha avuto successo anche all'estero. Basti citare Domenico Modugno, Pino Daniele, Albano Carrisi, Toto Cutugno...

Non è andata benissimo al rock e ai generi musicali più estremi. Pochi sono i gruppi italiani che all'estero riescono ad ottenere consensi. Complice l'esterofilia e la grave attitudine al "plagio" più spudorato, per gli stranieri non ha alcun senso ascoltare chi non apporta nulla di nuovo. Lo stesso Vasco Rossi che spopola negli italici stadi, all'estero non ha che scarni riscontri. Se escludiamo la Premiata Forneria Marconi (PFM), pochi possono vantare apprezzamenti fuori dai confini nazionali. La musica estrema in particolare è già un settore di nicchia ed i gruppi più noti raramente hanno lasciato un segno nelle charts. I Vanadium di Pino Scotto detengono il record di copie vendute per singolo album nell'ambito metal in Italia (54.000 copie). La prog-metal band Rhapsody (oggi Rhapsody Of Fire) è tuttora apprezzata all'estero anche in virtù della commistione con l'opera lirica. I Lacuna Coil hanno più successo all'estero che in patria. I Negazione hanno avuto il loro periodo d'oro intorno alla fine del secolo scorso. Altre realtà di questo tipo restano relegate al mondo underground internazionale e vantano sparuti estimatori.

Il fenomeno esterofilo non vale in ambito jazz, blues e funk giacché questi generi rientrano in un circuito d'élite che non discrimina i talenti nostrani.

Hip hop, rap ed elettronica pagano il proprio tributo ai modelli stranieri, ma dopo anni di underground sembrano aver trovato grandi consensi (ma anche il loro mercato soffre della crisi discografica). Le proposte di Jovanotti, Fabri Fibra, Caparezza e di altri artisti che suonano una miscela di generi filtrati attraverso il rap costituiscono una delle poche, timide, risposte alla sudditanza al modello d'oltreoceano.


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