Il marcio che risiede nell’antro più intimo dell’animo umano ha poco a che fare con la crisi. Essa non è che un catalizzatore, una lente d’ingrandimento che rende di pubblico dominio gli elementi che l’hanno causata. Corruzione, superbia e lussuria siedono sul banco degli imputati, come se solo ora ci si rendesse conto di quanto il sistema politico ed economico che domina i nostri destini individuali se ne sia sempre nutrito. Vediamo uomini che fino a pochi mesi fa negavano la gravità della situazione ergersi a paladini del rigore, personaggi la cui misera morale era nota presentarsi come moralizzatori. Ma è inutile stupirsi particolarmente. E’ sempre stato così.
Leggere L.A. Confidential equivale ad intraprendere un viaggio proprio in quella parte dell’uomo che lo porta a tendere inevitabilmente verso il male, quell’inclinazione al vizio che lo rende capace delle azioni più turpi, pur di ottenere il proprio obbiettivo. Questo libro è il terzo in ordine temporale della tetralogia sulla Los Angeles nera che resta il capolavoro indiscusso dell’hard boiled, quella costola della narrativa poliziesca nera che non disdegna incursioni in tematiche pulp, colme di sesso e violenza, e si distingue dagli altri per l’abilità incredibile con la quale Ellroy riesce prima ad ingarbugliare poi a districare numerosi fili narrativi, che alla fine risultano pressochè perfetti al di là di qualche forzatura. La trama si sviluppa a cavallo tra la vigilia di Natale del 1951 e l’Aprile 1958: il contesto è quello del boom economico post-bellico registrato sotto la presidenza del repubblicano Eisenhower, che vide l’economia a stelle e strisce imporsi come il faro del mercato occidentale, in contrapposizione col nemico sovietico che assunse il medesimo ruolo rispetto all’oriente. In questi anni la stella di Hollywood cominciò a splendere in modo ancora più forte rispetto al periodo antecedente al secondo conflitto mondiale, rendendo la città degli angeli il posto apparentemente perfetto per chiunque avesse voluto tentare la propria fortuna sotto le luci abbaglianti dei riflettori.
Ma più forti sono le luci, più profonde sono le ombre che si muovono sullo sfondo. Lì dove la crisi è lontana, proprio nel momento in cui sembra che il sistema capitalista funzioni al massimo delle sue possibilità, offrendo una concreta possibilità di riuscita, si osservano quei tarli che, col tempo, porteranno al crollo di quel sogno. I tre poliziotti protagonisti del romanzo sono guidati da un demone personale che, se li rende forti, al tempo stesso ne rappresenta anche la peggiore debolezza. L’agente White è un iracondo, il tenente Exley superbo, il sergente Vincennes vittima dell’immagine mediatica che lui stesso ha creato: dovrebbero contribuire al trionfo della giustizia, ma a causa dei motivi personali che li muovono sono inefficienti, vittima delle trappole che il potere tende loro.
Il potere, politico ed economico, è il vero protagonista di questo romanzo: esso non conosce crisi, continua imperterrito a sfruttare la debolezza dell’uomo per perseguire i propri fini. Solo con un atto di volontà che presupponga la negazione del proprio stato è concesso all’uomo una possibilità di salvezza, una rivoluzione interiore. Ellroy segue passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, il percorso di redenzione di questi eroi corrotti, il quale non è esente da errori, ripensamenti, crisi di identità. Infine, aiutandosi a vicenda (non per bontà ma, ancora una volta, per interesse), i tre riusciranno a vincere la loro personale rivolta, pagando tuttavia un prezzo molto elevato. Ma questi sono uomini eccezionali, fari nella notte che li circonda e di cui loro stessi hanno fatto parte: attorno a loro ruota un caos di corruzione, morte e potere che solo le luci di Hollywood, col loro incredibile potere falsificante, riescono a tramutare in qualcosa di apparentemente attraente.
Ma abbellire ciò che è brutto non equivale forse a disinnescarne il carattere intrinsecamente tragico, proprio quello che potrebbe risvegliare uno sdegno genuino nell’osservatore? In questo senso, i media sono ancora più meschini del potere che genera quella forma maligna di oppressione: la loro corruzione è necessaria per mantenere la società all’oscuro, a conservarla nella sua finta perfezione che incita le coscienze a concedersi un docile sonno. Il male c’è sempre, la crisi presuppone solo una diversa presa di coscienza nei suoi confronti da parte del pubblico. Sarebbe bello poter pensare che questo avvenga per un impulso alla redenzione da parte dei media, in realtà la tragicità delle condizioni materiali rende inefficace quel lavoro di copertura che ai media viene da sempre richiesto. Come nel libro di Ellroy, la salvezza rimane prerogativa dei singoli, ma ad un costo che solo pochi si possono permettere di affrontare.