Una crisi finanziaria avviene quando una persona giuridica (sia essa un individuo, un’impresa o un governo) si ritrova nella condizione di non poter regolare i propri impegni finanziari, come il pagamento degli interessi o la restituzione dei debiti, entro i termini stabiliti per questi pagamenti. Nei paesi in cui il credito è regolato dal diritto commerciale, la persona o l’impresa insolvente è portata in tribunale e le sue proprietà sono espropriate e vendute per ripagare il debito. Questa pratica è considerata una modalità più civile di affrontare il problema dei debiti non pagati, quantomeno rispetto ai metodi brutali che dominano altrove. Finché le crisi di questo genere rimangono economicamente marginali possono essere tollerate in quanto elemento strutturale del sistema capitalistico di mercato, all’interno del quale vi saranno anche delle vittime, dei ‘perdenti’, ma gli affari e il sistema nel suo complesso comunque procedono e addirittura prosperano. Tuttavia, se troppi individui, o troppe attività economiche, si trovano in queste condizioni, allora c’è la possibilità che si manifesti una situazione di deflazione da debito. La deflazione da debito avviene quando individui, imprese o governi riducono i loro investimenti perché i loro redditi non sono sufficienti a mantenere il regime di spesa e, contemporaneamente, rispettare gli impegni di pagamento dei debiti contratti. Con una spesa ridotta, anche la domanda sui mercati si abbassa. Imprese e famiglie, le cui entrate dipendono dalla domanda dei mercati, si trovano con un reddito falcidiato. Così, quegli agenti sono costretti a ridurre la loro spesa e non possono rispettare gli impegni di pagamento. Se la deflazione da debito si diffonde, l’economia entra in una fase di depressione che colpisce tanto il commercio quantol’industria. Le imprese licenziano i lavoratori al fine di ridurre i costi e risparmiare denaro sufficiente per pagare i debiti. Di norma le imprese non rimpiazzano i lavoratori che lasciano a casa o che si ritirano, facendo così aumentare drasticamente la disoccupazione, in modo particolarmente drammatico tra i giovani, i quali in condizioni normali prenderebbero il posto di quei lavoratori. La situazione è complicata dalla diseguaglianza nella distribuzione del reddito e dalla stratificazione sociale tipica del capitalismo moderno. Di solito i lavoratori meno pagati non contraggono molti debiti. È però molto probabile che perdano lavoro e reddito man mano che le imprese e i governi tagliano la spesa per far fronte ai propri impegni. In questo frangente, si troveranno economisti che inciteranno questi lavoratori poveri ad accettare salari più bassi, al fine di incoraggiare le imprese ad assumerli. Ma se è il debito la causa della riduzione della spesa in salari e stipendi, non saranno certo più bassi salari a indurre le imprese ad aumentare l’occupazione. Nella migliore delle ipotesi, le imprese cercheranno di ripagare una parte maggiore dei loro debiti grazie al risparmio derivante dai tagli salariali. Salari più contenuti ridurranno la domanda in tutta l’economia e ciò disincentiverà ulteriormente la produzione e le vendite. Così i lavoratori più poveri finiscono con il pagare le conseguenze della crisi più di ogni altro, nonostante non abbiano avuto alcuna responsabilità nel generare i problemi legati all’indebitamento.
Il governo si trova in una situazione del tutto differente perché dalla spesa pubblica dipendono un numero molto elevato di lavoratori collocati nel pubblico impiego. Se i loro redditi venissero ridotti, la domanda si comprimerebbe praticamente in tutti i mercati in cui essi effettuano acquisti di beni e servizi. Il governo, tuttavia, ha strumenti per gestire il debito, secondo modalità a cui non possono far ricorso le imprese e le famiglie. A differenza di ogni altro agente nell’economia, i governi possono determinare di quanto reddito dispongono semplicemente emanando delle norme in materia finanziaria che stabiliscono quante tasse debbano essere pagate da imprese e famiglie. Se ciò non dovesse bastare, possono sempre rifinanziare il proprio debito per ridurne i costi. Così, se un titolo di stato è in scadenza, il governo può sempre ripagarlo emettendone uno nuovo. Se il tasso di interesse sui prestiti a breve termine (buoni del Tesoro a tre mesi, per esempio) è più basso di quello per i prestiti a lungo termine (buoni del Tesoro ventennali), il governo può emettere dei titoli a breve scadenza per ripagare il proprio indebitamento di lungo periodo. In questo modo un governo può creare artificialmente una situazione di scarsità dei titoli a lunga scadenza, e questo gli permetterà di vendere i propri titoli a lungo termine ad un interesse più basso [una manovra del genere è quella impiegata da qualche tempo negli Stati Uniti dalla Federal Reserve e dal Tesoro, la cosidetta operation twist: il Tesoro ottiene fondi dalla vendita dei titoli a breve termine che impiega acquistando titoli a lungo termine, facendone in questo modo rialzare il prezzo, al che corrisponde una caduta del loro tasso di rendimento. L’attuale crisi finanziaria europea è causata in parte dalla deflazione da debiti delle imprese e delle famiglie. Essa è però prima di tutto il risultato dei vincoli arbitrari imposti al finanziamento dell’indebitamento pubblico dall’Unione Europea con il Trattato di Maastricht del 1992 e del divieto per le banche centrali di sostenere i governi attraverso operazioni finanziarie. La strategia più efficace per superare questa crisi consisterebbe nel riformare quel trattato e in una spinta verso l’alto dei salari, specialmente per i lavoratori meno retribuiti.
Jan Toporowski, University of London
Fonte: inserto di Nuova Secondaria, anno XXX, numero 7, marzo 2013, intitolato “Crisi permanente”, a cura di Riccardo Bellofiore e Michele Dal Lago.