Leggete cosa mi è successo.
Situazione 1: Incontro un amico per strada e cominciamo a parlare, fermi sul marciapiede. Dopo qualche minuto esce una signora da una porta -più un anfratto, direi- e mi apostrofa dicendomi: “non ha visto che lì c’è una vetrina?”. Mi giro, e vedo questa vetrina alle mie spalle, buia e male arrangiata. “Sì, quindi?”, le chiedo. E la signora con fare scontroso mi dice che stando lì impedivo alle persone di guardare la sua vetrina, togliendone la visuale. E se avessi avuto un po’ di senso civico, aggiunge, mi sarei dovuto spostare. “Lavorerà anche lei, in questo periodo, con la crisi che c’è”. Già, colpa della crisi ora, come sempre, e colpa mia che stavo davanti alla sua vetrina buia. Situazione 2: incontro una signora sul pullman mentre andavo in studio, e faccio lo sbaglio di chiederle “come va?”. Mi avesse parlato dei suoi problemi, poco male, è il mio lavoro risolvere il problemi delle persone, e invece al di là delle mie aspettative, inizia una terribile lagna sulla crisi e su tutti quei giovani “molti laureati e disoccupati”, che tornano a fare i contadini. “Perché la terra rende sempre”. E giù a dire, in mezzo ad altre persone che annuivano, che la situazione è disperata, che non c’è lavoro, che era meglio quando si stava peggio, che non c’è speranza. Per un terribile attimo ho pensato di lanciarmi giù dal pullman in corsa e mettere fine a questa vita di sofferenze. Poi ho pensato: ma questa avrà almeno 70 anni e prende la sua comoda pensione senza muovere un dito con la casa e terreni di proprietà, perché si lamenta? Situazione 3: Spesa proletaria furto al market per protesta Recentissimo, un gruppo di donne scontente del taglio ai sussidi per le persone meno abbienti, prima manifestano di fronte ai servizi sociali, poi in gruppo si riempiono i carrelli da Auchan ed Ld, uscendo senza pagare. “Spesa proletaria”, l’hanno chiamata i giornali, dipingendolo come atto estremo di rivolta, riscatto proletario da uno stato borghese che taglia i sussidi a chi è già povero. A ldi là del fatto che la riduzione dei sussidi dovrebbe essere uno stimolo per cercare lavoro e non per rubare, peccato che queste persone, bravissime a organizzare gesti politici con rilevanza penale, non usino le risorse per mettersi insieme e fare impresa: una cooperativa di badanti per persone anziane, o di pulizie, tutte cose che fanno invece le ucraine e non le sarde. Perché diciamocelo, le ucraine hanno lasciato il loro paese per lavorare a qualunque costo, e, a differenza degli italiani, nella loro testa non c’è spazio per la crisi. La crisi è un fenomeno emotivo e mediatico, un piangersi addosso scoraggiati estremamente contagioso. Porta verso l’immobilità totale, la rinuncia a provarci. Chi rinuncia a provarci perché dà la colpa alla crisi fa un ragionamento circolare che gli si ritorce contro: non c’è lavoro perché c’è la crisi, c0è la crisi perché non c’è lavoro, per cui non vale la pena provarci. Se ci fermiamo a pensarci è un ragionamento di comodo: se c’è la crisi non mi metto in gioco, non rischio, non ci metto la faccia, non cambio il mio mondo. Aspetto che l’aiuto venga da fuori, che cambino le cose fuori e non dentro di me, e non faccio il minimo sforzo attivo, ma solo passivo della lamentela.Aspettando, col solito meccanismo, che le cose cambino partendo dall’esterno e non dall’interno. Ripenso a mia nonna che pedalava per ore al buio su strade bianche per prendere la coincidenza col treno per dare le saponette ai bambini scalzi. Se ci fossero stati allora gli aerei di oggi, chi l’avrebbe fermata?
Alla faccia di chi si lamenta della crisi. Dott. Delogu (collaboratore)