Lungotevere dei Vallati è solo un’apparenza… una strada di scorrimento … e si fa per dire, perché spesso diventa anche un collo di bottiglia per le auto che ci si incastrano. Palazzi imponenti, ben affacciati sul fiume, con un’aria di solidità borghese e spesso anche di più… Ma appunto, solo un’apparenza, perché appena dietro si schiudevano i vicoli non ancora compromessi dal turismo becero e dalll’insediamento dei troppi stranieri… C’era la Roma degli artigiani, delle piccole trattorie e delle latterie dove, assieme al caffè al vetro, chissà perché si potevano ordinare anche due uova al tegamino. Dalle finestre e dal terrazzo della sua casa, il ragazzino curioso guardava la gente che passava, com’era vestita, come camminava o gesticolava, con un occhio quasi maniacale e un binocolo che l’aiutava a capire… Quando scendeva in strada si fermava a vedere chi c’era in quel malconcio bar di Via dei Pettinari e … ci trovava il mondo, assieme al postino e alla prostituta di zona, il bookmaker e lo strozzino del quartiere. Il ragazzino dava a tutti la stessa famelica attenzione si trattasse della gente dei vicoli o dei mostri sacri che, da tutte le parti di Roma, passavano per la sua “Casa sopra i Portici…” Perché suo padre era un grande critico cinematografico e da Rossellini a Pasolini, da Vittorio de Sica ad Antonioni, lì ci venivano tutti e molto spesso. C’era aria di destino, anche se in famiglia forse avrebbero preferito tutt’altro. Ma il ragazzino aveva cinematografi come il Farnese,-se vogliamo anche un po’ dirupato all’epoca- così a portata di mano… E, anche se arrivavano un po’ in ritardo, lui di film riusciva a vederne un mucchio … Gli avevano regalato un proiettore da 8 mm e ci scorreva sopra i grandi del muto, Buster Keaton, Charlot, Stanlio e Ollio… Finì che si laureò con una tesi che riguardava proprio il cinema muto, ma intanto aveva girato 3 documentari e Rossellini decise che doveva andare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lui voleva fare il regista e invece cominciò come attore, con testi che si inventava e dove i monologhi e i personaggi erano quelli della sua infanzia fra i vicoli oppure erano i suoi compagni di liceo, rivisitati nei loro tic o nel loro conformismo. Una sera che recitava al teatro Alberichino per un unico, solitario spettatore, il cuore gli faceva male di umiliazione, ma non saltò nemmeno una battuta, non rinunciò neppure a una gag. Due giorni dopo aveva una recensione fantastica su un quotidiano importante, perché quell’unico spettatore faceva il critico e con quell’articolo gli riempì il locale, con lunghissime file al botteghino.
Un giorno lo chiamò Sergio Leone …Voleva produrre un film, l’aveva visto in qualche sketch in televisione e pensava a lui come attore, con qualcuno dei suoi personaggi così caratterizzati… Un anno dopo i personaggi erano sei e, Carlo Verdone, oltre a interpretarli tutti era diventato regista. Tre almeno sono rimasti nella memoria do un intero popolo perché, ciascuno a suo modo, avevano cittadinanza italiana. L’hippie con i lunghi capelli biondi, uguale identico, nei modi e nell’abbigliamento, a quelli che avevano pochi anni prima conquistato Campo de’ Fiori, Enzo il coatto di periferia che sull’onda dei luoghi comuni nostrani, vuole partire per andare a fare sesso in Polonia e il timido Leo che non riuscirà a conquistare la ragazza spagnola. Tre sconfitti, tre personaggi a volte ridicoli e a volte patetici, tre solitudini che alla fine ti stringono il cuore, ma intanto quella comicità senza limiti a volte traboccante a volte espressa solo con un gesto o uno sguardo, ti fa ridere, entusiasmare e un pochino anche riflettere. Dopo ”Un sacco bello” tornano ancora 3 personaggi, in” Bianco, Rosso e Verdone,” tutti italiani e tutti e tre in viaggio . Ci sono le elezioni e vengono da lontano per andare a votare. Un emigrante torna dalla Germania con la mitica Alfa sud e il registratore sul sedile posteriore, tutto un mondo di stereotipi messo a dura prova dai furti a ripetizione di cui è vittima il silenzioso protagonista della storia, ormai spaccato in due fra l’ordine senza fantasia della Germania e l’impossibilità di sentirsi ancora italiano. Il logorroico Furio presuntuoso e ossessivo è un personaggio nevrotico che nelle sue diverse modulazioni farà grande strada fra i borghesi a venire del cinema di Verdone e infine il tenero Mimmo, bello di nonna, che porta appunto la sua malandata e vivace nonna a votare per i suoi amici comunisti.Qui la battuta più graffiante, Carlo Verdone ce la riserva alla fine, quando gli addetti al seggio elettorale, come unica preoccupazione per la poverina morta dentro al seggio, si chiedono se il voto potrà considerarsi valido.
“Borotalco” lancia gli interpreti maschili singoli, con ambienti meno coatti e personaggi più fragili e più sognanti ai quali fa da contrappunto una donna forte e decisa e l’0perazione riesce in pieno, mentre sulle note de “La settima luna” di Lucio Dalla, la musica entra di prepotenza nel cinema di Carlo Verdone. Batterista e pianista lui stesso, maniaco del vinile e appassionato di rock , Carlo con gli occhiali si mostra alla tastiera nei blues un po’ elettronici del film ”Sono pazzo di Iris Blond”, uno dei suoi film più malinconici e toccanti, che si trascina dietro in versione musicale uno dei suoi infiniti protagonisti ingenui e sconfitti.
In “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” andrà poi alla ricerca di un enigma di Jimi Hendrix con Margherita Buy aggrappata a lui sul sellino della motocicletta, nelle verdi atmosfere inglesi. Naturalmente non riuscirà a fare lo scoop della sua vita, ma il finale sarà meno amaro di altri suoi film.
Riuscirà in qualche modo persino a parlare di sé e della sua famiglia in “Al Lupo, al lupo”, storia di tre figli complicati e lontani che si ritrovano assieme in cerca di un padre che chiede solo di essere lasciato in pace. Ancora una volta ritorna prepotente la voglia di portare la musica nei suoi film anche se questa volta, da grande comico quale è, senza alcun pregiudizio, ha voluto interpretare il brutto, mediocre anatroccolo che deve confrontarsi di continuo con un fratello grande musicista arrivato, che si vergogna di lui…
Di film Carlo Verdone ne ha fatti tanti, riuscendo sempre a darci personaggi indimenticabili… Che, fra nevrosi e sconfitte sono da più di trent’anni testimonial della nostra scomoda società italiana. L’ultimo film di Carlo è la commedia italiana al tempo della crisi e lui è di nuovo un indimenticabile interprete perchè qui, in”Posti in piedi in paradiso,” Carlo sembra voler riassumere i suoi migliori “caratteri,” dal coatto all’ intimista al centro di conflitti familiari, fino a riprendere i temi della coralità affiancato da Pierfrancesco Favino e da Marco Giallini. E poi… è appena uscito il documentario su Alberto Sordi, il suo grande amico di cui forse è l’erede, ma con cui non si è mai capito sino in fondo quando provavano a recitare assieme. Un omaggio commosso, in cui ci restituisce l’immagine di Alberto, sfaccettata come un diamante, attraverso una serie di interviste, rivolte a tante persone diverse, senza mai avere la pretesa, lui Carlo Verdone, di imporre il suo giudizio. Di sicuro un atto di umiltà e una lezione…Grande Carlo che ci fa rivivere in continuazione il nostro presente e il nostro passato … Mentre aspettiamo il prossimo film!
Che Carlo Verdone abbia una grande passione per l’Inghilterra è cosa risaputa e illustrata in molti suoi film ma è anche un raffinato intenditore di Te e Marmellate, proprio quei prodotti ottimi e particolari che ad esempio si trovano in Piccadilly Circus. E ad una delle sue preferite marmellate, quella di albicocche, ci siamo affidati, per questa deliziosa:
CROSTATA ALLE ALBICOCCHE (per 6 persone)
INGREDIENTI per l’impasto: Burro 150 grammi, farina tipo 00 300 grammi, la scorza di 1 limone, 2 uova, 130 grammi di zucchero semolato.
INGREDIENTI per farcire: confettura di albicocche 600 grammi
INGREDIENTI per spennellare : 1 uovo
PREPARAZIONE: con tutti gli ingredienti dell’impasto mescolati e lavorati,preparate una palla che coperta di pellicola trasparente metterete almeno per 1/2 di ora in frigo. Trascorso questo tempo accendete il forno per portarlo alla temperatura di 180°C ventilati e stendete 2/3 della pasta in una sfoglia dello spessore di circa 4 mm. con cui fodererete uno stampo tondo di circa 20 cm di diametro. Bucherellate il fondo con i rebbi di una forchetta e versateci sopra la confettura di albicocche. Con la pasta avanzata preparate delle strisce che taglierete con il coltello o sagomerete con l’apposito attrezzo dei ravioli per formare un motivo a zig zag. Spennellate ora i bordi dello stampo con l’uovo e appoggiate le strisce di pasta sulla confettura formando una decorazione a piacere. Spennellate anche le strisce e infornate per 45 minuti: Al termine della cottura lasciate raffreddare poi estraete la crostate dallo stampo e prima di servire spruzzate con zucchero a velo.