La cultura diffusa e il ruolo delle istituzioni locali

Creato il 12 luglio 2012 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Nel 1985, dopo le elezioni amministrative, mi fu proposto di entrare a far parte della commissione Sport, Giovani e Tempo Libero del consiglio di zona 5 (all’epoca, con le circoscrizioni più piccole, corrispondeva alla ristretta area gravitante intorno a Porta Genova e Ticinese). Non essendo un consigliere, vi partecipai come cittadino “esperto” delle problematiche di cui la commissione si occupava. Segnatamente, essendo al tempo molto giovane, la mia esperienza stava nel lavoro di organizzazione sportiva e formazione svolto nell’oratorio; in più, siccome avevo nel curriculum sporadiche partecipazioni a battaglie civili (di segno ben diverso da quello prevalente negli oratori), risultavo in qualche modo essere un “tecnico” di area cattolica e un “politico” di area comunista, tanto che l’invito a partecipare alla commissione mi venne da amici democristiani e con la piena adesione e sollecitazione di alcuni compagni dei partiti della sinistra.
Fu un’esperienza breve (mi ritirai nel giro di un paio d’anni scarsi) e tuttavia abbastanza frustrante. La commissione si occupava solo di sporadici eventi: un paio li organizzava in prima persona, come “servizio alla cittadinanza”, con notevole impegno dei singoli; altri li finanziava (eravamo nel pieno degli anni Ottanta, e la politica faceva girare una buona dose di soldi), foraggiando occasionali iniziative di società o associazioni ben introdotte e ben protette da qualche consigliere amico. Il tutto mi sembrava piuttosto inutile, e avanzai una serie di proposte perché l’istituzione diventasse invece luogo di incontro e mediazione di domande e offerte provenienti dai cittadini: proposi di censire le società sportive della zona (raccogliendo l’indicazione dei loro bisogni), di mappare tutti gli impianti sportivi disponibili nell’area o nei dintorni, di sondare l’interesse delle realtà imprenditoriali locali (a partire dal commerciante di quartiere) a eventuali sponsorizzazioni, con l’idea di costruire una sorta di banca dati e di permettere alle società sportive di fruire degli impianti in zona e di avalersi di eventuali contributi economici privati legati al territorio. Non era un lavoro improbo (in buona parte si trattava di consultare gli elenchi delle federazioni e degli enti di promozione sportiva), ma non se ne fece nulla; perché all’istituzione politica interessava solo la passerella dell’evento di un certo richiamo, seppure occasionale, e non un lavoro di organizzazione e servizio che lasciasse ad altri il ruolo di attori.

Ripensavo a quell’esperienza lontana ieri sera. Ero infatti andato al parco Teramo, alla Barona, per assistere a un dibattito su cultura e periferie, all’interno del South Park, una sorta di festa estiva permanente. Un dibattito con assessori comunali, responsabili delle zone, qualche giovane politico impegnato sul territorio. Un dibattito che, nelle forme previste, non c’è stato, per grave carenza di pubblico, ma che si è, quasi provvidenzialmente, trasformato in una chiacchierata conviviale tra i presenti.
I tempi, rispetto alla mia lontana partecipazione alla commissione di zona, sono decisamente cambiati, e non solo per scelta. Oggi le istituzioni, dal Comune alle Zone decentrate, hanno ben pochi denari da mettere sul piatto. Debbono quindi inventarsi qualcosa, se non vogliono limitarsi ad appoggiare il cappello dell’autorevole, ma concretamente spesso inutile, patrocinio su iniziative realizzate in toto da soggetti privati. E mi pare di cogliere, con soddisfazione, una sensibilità nuova rispetto all’inutilità o insufficienza dell’intervento spot, dell’evento singolo, della manifestazione magari visibile ma priva di una continuità sociale. Sembra, e lo dico con tutte le dovute cautele, di captare la disponibilità e l’intenzione di attivarsi per costruire reti in grado di cambiare nel profondo le abitudini e le consuetudini dei cittadini; nel nostro caso, reti capaci di facilitare l’accesso alla cultura, la sua diffusione orizzontale, al di fuori dei circuiti commerciali precostituiti e blindati.
Poi, certo, il momento di visibilità ci può e ci deve stare. Lo abbiamo fatto anche noi, con il Festival della Letteratura, e non sono tra chi si strappa i capelli per una certa freddezza istituzionale attorno alla manifestazione. Perché credo che il compito delle istituzioni sia semmai quello di aiutare lo spirito del festival a trasfromarsi in realtà quotidiana, in presenza culturale viva e costante. E, in questo senso, la serata di ieri mi infonde un pizzico di ottimismo.
Peccato che tra i partecipanti alla chiacchierata conviviale non ci fosse l’assessore alla cultura, che dovrebbe essere il primo punto di riferimento. Del resto, la sua presenza non era neppure prevista, trattandosi di un dibattito in un parco della Barona su periferie e cultura. Vuoi mettere con il centro, le location glamour, la moda e il design?


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