Il Salone del Libro di Torino sempre più simile al Deserto dei Tartari
Dite pure tutto ciò che volete, ma noi eravamo lì, eravamo presenti alle varie code agli ingressi e alla ressa stazionante fra i vari corridoi dei padiglioni… Ebbene, chiunque abbia scritto che il Salone del Libro di Torino ha marcato un nuovo successo nel panorama culturale mondiale, ha scritto un’enorme fesseria. Quindi i casi sono due: non è andato e parla per interposta persona (la quale, a sua volta, ha mandato Ciccio il meccanico che di editoria non ci capisce nulla) oppure ha beccato gli unici veri cinque minuti di assembramento alle casse e in un qualche punto della Fiera.
A questo punto la domanda sorge spontanea: è davvero questo il segnale che la cultura italiana sta finendo nell’abisso?
Baldini e Castoldi ha, invece, pensato di puntare tutto su un titolo provocatorio, dando risalto a un unico libro la cui cover ben rappresenta l’idea di dove vada a finire il nostro livello culturale: “Come vivere con un pene enorme”…
Feltrinelli si è data alla ristampa dei classici, lasciando intendere che gli unici autori degni di nota sono quelli che di vivo hanno solo gli eredi (ai quali, forse, non vengono nemmeno corrisposti i proventi dei Diritti d’Autore).
La Giunti, che tra l’altro ha proposto una delle copertine più belle presenti in Fiera (ovviamente non se n’è accorto nessuno), ha espresso tutto il suo potenziale editoriale tappezzando la fronte di grandi e piccini (per lo più i grandi, di questo se ne sono accorti tutti) con l’immagine di un famoso personaggio dei cartoni animati, lasciando presumere che l’unico traguardo che potremmo mai raggiungere è rappresentato da un suino intellettuale.
E di altri esempi di questo tipo potrei riempire pagine e pagine di questo post, ma il sunto sarebbe sempre lo stesso: la vera editoria la fanno i medio/piccoli editori, sicuramente non quelli grandi. Sono state le piccole Case Editrici a portare in Fiera le novità, i nuovi volti, i nuovi autori, per lo più nostrani. Le piccole CE, tanto vituperate, che hanno colto quel messaggio che ormai i media paiono snobbare, propinandoci programmi come Masterpiece che di culturale hanno veramente poco. Ed era all’interno dei loro stand che ancora si respirava quella sana aria di entusiasmo e di voglia di fare che le grandi hanno dimenticato da tempo. Dunque, se da una parte questo Salone è stato una delusione, un momento mancato in cui sarebbe stato bello poter affrontare gli innumerevoli discorsi che stanno realmente a cuore, dall’altra ha portato a galla delle verità che non dovrebbero restare ancora nascoste. Il futuro è rappresentato proprio da quella massa di piccoli editori che, magari inventandosi un mestiere, portano involontariamente alla luce qualche incredibile capolavoro sfornato da Penne nostrane. Il futuro è racchiuso nelle mani di quei pionieri che praticano il self publishing selvaggio, fregandosene altamente di un editing ben fatto, ma che esprimono liberamente il proprio pensiero e le proprie emozioni. Il futuro siamo noi, audaci autori di testi senza speranza, che ancora credono di poter dare un contributo in un mondo fatto di calciatori ignoranti come capre tibetane e soubrettine il cui unico pregio è evidenziato dal fatto che non sono loro a scrivere i libri che firmano.
Quindi, non tutto è perduto e non tutto è destinato alla catastrofe, anche se, sicuramente, il Salone Internazionale del Libro, se in futuro non cambia registro e tono, è l’unico a uscirne sconfitto.