Il racconto di Tomskij suscita una profonda impressione su Hermann. L’idea di poter unire l’utile del guadagno sicuro al diletto della partecipazione al gioco s’impossessa della sua mente senza dargli tregua. Così, inizia a escogitare un piano per entrare nelle grazie dell’anziana baronessa per farsi svelare la sequenza magica. Il suo cavallo di Troia non può che essere la dama di compagnia della nobildonna, Lizaveta, giovane donna graziosa, immalinconita dal dover sottostare alle bizze continue della nobildonna. Hermann inizia a corteggiare Lizaveta con delle lettere d’amore, incurante dell’iniziale ritrosia della giovane. Finalmente Lizaveta acconsente ad un incontro nel palazzo della baronessa, dandogli indicazioni sul come introdursi nella casa ed arrivare alla sua camera, passando per quella della nobildonna, prima del loro ritorno da una festa di ballo. Il giovane ufficiale si introduce furtivamente nel palazzo, ma anzichè rifugiarsi nella camera di Lizaveta, attende il rientro delle donne in quella della baronessa. Dopo aver assistito suo malgrado alla toeletta dell’anziana nobildonna, Hermann esce allo scoperto e implora la baronessa di renderlo edotto del segreto, ma questa, seppur intimidita dalla situazione, non cede minimamente. Spazientito, l’ufficiale estrae minacciosamente la pistola, con l’effetto si spaventare eccessivamente la baronessa che, data la sua avanzata età, non regge al colpo e muore. Dopo aver raggiunto Lizaveta nella sua camera e averle spiegato le cose, la dama di compagnia, tra lacrime di delusione per essersi resa conto della natura veniale dell’interesse mostrato da Hermann nei suoi confronti, indica all’ufficiale l’uscita più sicura dal palazzo.
Alcuni giorni dopo, il giovane ufficiale si reca al funerale della baronessa, confidando di placare in questo modo l’agitazione dovuta agli eventi appena trascorsi, ma alla vista del volto della morta finisce preda di ulteriori inquietanti suggestioni. Dopo aver cercato invano sollievo nel vino, rientrato a casa si addormenta, svegliandosi di soprassalto poche ore dopo. Non riuscendo più a prendere sonno, ripensa agli eventi degli ultimi giorni. In quel momento gli appare lo spettro della baronessa che gli svela la sequenza delle tre carte, garantendo il successo a patto che vengano giocate in tre giorni diversi, che l’ufficiale non giochi per il resto della sua vita e che sposi Lizaveta. Nei tre giorni seguenti si reca nella casa da gioco e scommette ogni volta su una carta. I primi due giorni raddoppia la sua forte scommessa, ma il terzo, al posto dell’asso, scopre una donna di picche, nella quale la suggestione lo porta a vedere la baronessa morta. Sconvolto, Hermann impazzisce e viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
La Dama di picche, oltre a farsi apprezzare per la qualità letteraria, l’intreccio ben strutturato, la sapiente fusione tra realismo e fantastico e la sottile descrizione psicologica dei personaggi, apre a complesse interpretazioni metanarrative. In primo luogo, il predominio tutto romantico dell’irrazionale su ogni pretesa assoluta di comprensione della ragione. Inoltre, il racconto è infarcito di riferimenti alla numerologia, alla cabala e alla massoneria, tutti interessi coltivati da Puskin nella vita reale. In particolare, la sventurata storia di Hermann è da leggersi come metafora di un rito d’iniziazione massonico, fallito a causa dell’incapacità dell’aspirante adepto di procedere pazientemente per gradi e di mantenere inviolato il segreto. Il racconto ha avuto varie trasposizioni cinematografiche e musicali, tra le quali l’omonima opera di Tchaikovsky del 1890.