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La Danimarca “euroscettica” alla guida del Consiglio dell’UE: un semestre di basso profilo ?

Creato il 11 gennaio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Antonio Scarazzini  La Danimarca “euroscettica” alla guida del Consiglio dell’UE: un semestre di basso profilo ? Dal 1 gennaio la Danimarca è tornata ad assumere, a dieci anni di distanza dall’ultima volta e per la settima volta dal 1973, la guida del semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione Europea: come la Polonia, che l'ha preceduta alla presidenza dell'organo, anche il Paese guidato dallo scorso settembre dal governo socialdemocratico di Helle Thorning-Schmidt non fa parte dell'area euro, ma non condivide con il suo predecessore la medesima vocazione europeista. Proprio all'apice della crisi della moneta unica e dell'identità del progetto d'integrazione europea, sarà proprio uno degli Stati “outs” a coordinare l'organo legislativo a vocazione intergovernativa: l'accordo di Edimburgo del dicembre 1992 permise infatti alla Danimarca di ratificare nel 1993 il Trattato di Maastricht (Trattato sull'Unione Europea – TUE) avvalendosi, dopo una prima bocciatura referendaria, di quattro clausole di opting out, tra cui quella che attribuiva facoltà di notificare anche successivamente la partecipazione alla terza fase dell'Unione Economica e Monetaria e dunque all'adozione della moneta unica.
I target economici: controllo finanziario, bilancio e mercato interno L'adozione del Six Pack, prima, e la bagarre che ha portato durante l'ultimo Consiglio Europeo all'adozione di un “fiscal compact”, a cui la sola Gran Bretagna ha scelto di sottrarsi, ha tuttavia dimostrato un intento di cooperazione ed armonizzazione fra i Paesi dell'Eurogruppo e i restanti nove. La Danimarca ha quindi una chance per influire sul progetto di coordinamento economico e fiscale tra i Paesi europei apportando ai lavori del Consiglio (in configurazione ECOFIN e EPSCO-Employment, Social Policy, Health and Consumer Affairs) la visione tipicamente scandinava del controllo delle finanze pubbliche, nonché portando ad esempio il proprio sistema di welfare fondato su sicurezza e flessibilità del lavoro – la cosiddetta flexicurity – cui i Paesi UE guardano con sempre maggior favore. Al primo punto del programma il governo danese pone, infatti, per un' Europa responsabile, l'implementazione delle norme di controllo finanziario: è probabile, tuttavia, che in questo campo non vi saranno grandi margini di ampliamento e che alla presidenza spetti prevalentemente un ruolo di coordinamento del Semestre Europeo, arricchito dal Patto EuroPlus, dal Six Pack approvato in autunno e dalla prevista revisione dei Trattati nella forma stabilita al Consiglio Europeo dell' 8-9 dicembre scorsi. Un'attività di coordinamento con il Parlamento Europeo verrà spesa per la revisione della normativa in materia finanziaria, in particolare per la direttive MiFID (Markets in Financial Instruments Directive) che regola le transazioni di strumenti finanziari. Il particolare interesse veicolato dalla Danimarca in alcune tematiche (ambiente, pesca, energie rinnovabili) garantisce, invece, un impegno significativo per garantire entro il 2012 la conclusione delle trattative per l'“EU Multiannual Financial Framework”, l'accordo che determinerà il bilancio e le aree di spesa per il periodo 2014-2020. Nelle proposte della Commissione, il Consiglio Europeo a guida danese del prossimo giugno dovrebbe rappresentare, infatti, il momento di definizione dell'accordo da concludersi successivamente nel corso del semestre di presidenza cipriota. Tra gli aspetti su cui Copenaghen potrebbe rendersi maggiormente influente rientrano la politica di Coesione e le strategie occupazionali, che hanno rilevanza trasversale sia nella definizione delle quote di bilancio, sia nella programmazione delle riunioni dei ministri del lavoro e del welfare: in una prospettiva di aumento delle risorse del bilancio comunitario sarà interessante quindi rilevare di quali risorse verrà dotato il programma per l'Innovazione e lo sviluppo sociale, che dovrà sostenere un incremento dell'occupazione e della mobilità dei lavoratori nel mercato unico attraverso gli strumenti PROGRESS (coordinamento politiche sul lavoro – 574 milioni di euro), EURES (servizio di trasparenza per le offerte di lavoro nell'UE – 20 milioni annui) e del micro-credito (budget di circa 100 milioni) diretto a disoccupati che volessero intraprendere una propria attività. L'altro grande pilastro dell'agenda economica del semestre sarà poi il rilancio del mercato unico durante le sessioni del Consiglio COMPET (Competitiveness),il cui riferimento normativo è rappresentato dall'Atto per il Mercato Unico adottato dalla Commissione con una comunicazione dell'aprile 2011. Tra le dodici iniziative da cui dovranno scaturire progetti legislativi per il rilancio della crescita, la presidenza danese sembra aver incentrato il proprio impegno sullo snellimento ed armonizzazione delle normative che regolano il flusso di commerci e servizi: ecco allora il sostegno alla revisione della direttiva 98/34EC che regola gli standards tecnici all'interno dei confini UE, alla legislazione in ambito di protezione dei diritti di proprietà intellettuale attraverso l'ottenimento di un brevetto europeo e, infine, alla semplificazione delle procedure per l'accesso agli appalti pubblici ed ai fondi di venture capital da parte delle piccole-medie imprese. Da sottolineare, inoltre, la particolare dedizione per il dibattito sui finanziamenti ai programmi di ricerca e sviluppo come il programma “Horizon2000”, per facilitare il finanziamento alle imprese e la connessione fra la ricerca ed il mondo del lavoro. Rimane, infine, sul tavolo anche il capitolo dedicato alle tematiche ambientali – il terzo pilastro del programma semestrale – con l'obiettivo ultimo del taglio dell'80% delle emissioni di CO2 come stabilito dall'Energy RoadMap 2050. Sarà interessante rilevare quanto la Danimarca saprà trasferire il proprio know-how in termini di energie rinnovabili e di costruzione di una vera politica ambientale europea, sulla scia del sostanziale fallimento della Conferenza di Durban: il semestre danese dovrà infatti presiedere al lancio del settimo Piano d'azione decennale per l'ambiente, incentrato sulla svolta “verde” nella politica energetica e sulla riduzione dell'inquinamento atmosferico. Il tema ambientale si lega quindi a doppio filo con gli obiettivi legati alla strategia Europa2020, in particolare per  l'incremento del 20% del regime di efficienza energetica, ed alla costruzione di quel mercato interno dell'energia più volte proposto dal commissario Oettinger e previsto nel piano per oltre 9 miliardi di euro stanziati per le reti energetiche e che si inscrive all'interno del più ampio strumento da 50 miliardi stanziati lo scorso ottobre dalla Commissione per i progetti infrastrutturali.
La sicurezza e il nodo Schengen Nel maggio scorso aveva inoltre destato sorpresa la decisione da parte del governo danese dell'allora -Premier di centrodestra Lars Rasmussen di reintrodurre i controlli alle frontiere, in deroga alle norme imposte dal Trattato di Schengen cui la Danimarca partecipa godendo peraltro di alcune esenzioni per i territori della Groenlandia e delle isole Far Oer. La Commissione Europea allora non aveva colto di buon grado una scelta unilaterale di portata tale da compromettere la credibilità della libertà di movimento delle persone come pilastro del mercato unico; d'altra parte le titubanze espresse, oltre che dai Paesi scandinavi, anche da Francia e Italia di fronte all'ondata migratoria seguita alle vicissitudini della Primavera Araba, hanno prodotto un serio dibattito in seno alla Commissione stessa per una revisione della governance del sistema di Schengen e di un approccio globale verso l'immigrazione e la mobilità. La quarta ed ultima priorità del programma danese riflette quindi l'esigenza di un'Europa più sicura, con una particolare attenzione per il completamento di tutte le procedure legislative dedicata al Common European Asylum System (CEAS) ed alle proposte per una nuova governance del sistema Schengen. Il CEAS, in particolare, dovrebbe giungere a compimento proprio nel 2012 per dare vita ad un regime imperniato su tre pilastri: allineamento tra i ventisette Paesi delle procedure d'asilo e dei requisiti per la richiesta dello status di rifugiato, rafforzamento dell'European Asylum Support Office come organo di supervisione e maggiore solidarietà verso i migranti attraverso maggiori stanziamenti per le agenzie competenti (Frontex, European Border Fund) e per le Politica Europea di Vicinato. Spetterà pertanto alla Danimarca scandire il ritmo per una più rapida conclusione del dibattito sulle ultime proposte legislative: il controllo della migrazione illegale richiede peraltro un alto tasso di cooperazione fra tutti gli Stati membri e la proposta di revisione della governance di Schengen, pur concedendo la possibilità di temporanee reintroduzioni dei controlli doganali in caso di eccezionali minacce alla sicurezza di uno Stato o dell'intero sistema, dovrebbe limitare i casi di azione unilaterale come quella messa in atto dalla Danimarca. Obiettivo ultimo rimane l'applicazione del cosiddetto Global Approach on Migration and Mobility (GAMM) e dei suoi quattro pilastri:
  • Facilitazione dei flussi migratori legali e della mobilità dai Paesi Terzi, in particolare a fini lavorativi o di studio;
  • Repressione delle forme illegali di immigrazione e del traffico di esseri umani;
  • Promozione di una dimensione esterna della politica di asilo, tramite il dispiegamento di team di controllo transfrontaliero da parte di Frontex e la promozione di aiuti allo sviluppo dei paesi confinanti:
  • Massimizzazione dei benefici economici dell'immigrazione.

Un Paese in cerca di vocazione Malgrado gli ambiziosi obiettivi posti a programma, sarebbe errato negare che la presidenza danese rischia di rimanere schiacciata da una scarsa propensione all'integrazione europea manifestata soprattutto dall'opinione pubblica più che dalle elite politiche. Il governo dei Social Democratici di Helle Schmidt deve inoltre fare i conti con una difficile situazione politica interna, con un calo dei consensi seguito all'arretramento del PIL nel terzo trimestre 2011, con conseguente ricaduta sull'occupazione. In forza degli opting out del 1993, la Danimarca si è inoltre chiamata fuori anche dalla politica estera e dalla cooperazione in materia di giustizia e affari interni, cui il Paese può comunque partecipare valutando la possibilità di sottoporsi ai singoli provvedimenti. Aldilà dell'efficacia dell'azione di Copenaghen in seno al Consiglio, la portata simbolica di un maggiore coinvolgimento di un Paese ritenuto ai margini del processo d'integrazione potrebbe quindi dare un vigoroso segnale di risposta ad un'Unione Europea in crisi di finanze e di identità.
* Antonio Scarazzini è Dottore in Studi Internazionali (Università di Torino) 

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