La Danza del Mentre.mp3
La Danza del Mentre è il pezzo più deludente del disco. Avevo grandi aspettative sotto molti punti di vista. Sono andate deluse. Mi era venuto in mente questo giro di synthbass mentre rientravo a casa una sera nel quartiere ostiense. Lo sketch fu infatti registrato in ascensore con il telefonino. All’epoca l’avevo pensato electro ma anche un po’ etno. Avevo pensato di mettere qualche strumento a corda dal suono strano. Tutto è rientrato quando ci ha messo le mani Dr. Pouhlev.
Il basso è evidentemente mutuato da Golden Gaze di Ian Brown. Gli accordi sono gli stessi, i suoni synth quasi, la ritmica è molto più strana ed originale.
L’introduzione al pezzo è copiata ed incollata dall’inizio del disco Secret Samadhi dei Live.
La voce è poco convincente e piena di errori.
Valentina, mia compagna delle elementari ha poco tempo per registrare la voce.
Il suo cane Lola è fin troppo partecipe. Tutto è improvvisato, fatto in fretta e male.
Fin qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’interpretazione, l’arrangiamento, e la struttura.
La voce è poco convincente e piena di errori. Valentina, mia compagna delle elementari ha poco tempo per registrare la voce. Il suo cane Lola, presente in stanza durante le registrazioni è fin troppo partecipe. Tutto è improvvisato, fatto in fretta e male.
Già i bridge del pezzo (“La dea bendata è…”) mi hanno creato enorme difficoltà. Li salva la chitarra Bulgara di Nikolay Pouhlev. Il ritornello è una caporetto totale. Chitarra e basso sono stonati, vocalità ancora meno convincenti.
Il testo invece è importante. Nasce dall’osservazione di quante attività e locali per lotterie, lotti, enalotti, scommesse varie, sono nati nei nostri quartieri, specialmente in quartieri popolari.
C’è gente che si rovina per giocare e lo fa sempre di più. Come se il colpo di culo fosse la sola speranza di affermazione personale ed i soldi l’unica fonte di felicità.
Nel ritornello ho voluto sostanziare il significato di Danza del Mentre.
Si tratta di una danza passiva in cui i piedi rimangono fermi. Una danza innocua, che non porta a nulla, che ci impoverisce ancora di più. La dea bendata è l’unico appiglio, facile da invocare in una ricevitoria o da un tabaccaio, facile da identificare morfologicamente con l’avvenente donna appoggiata sul fianchetto di una Porsche in premio, ma indifferente alla stragrande moltitudine dei ns. tentativi.
Siamo ciechi, e nell’alimentare questo nostro handicap, rimpolpiamo le casse di uno stato che non bada ai nostri bisogni, ma “campa” della nostra stupidità, della nostra accontentabilità, della nostra assuefazione ai simboli del benessere contemporaneo.
Il rimedio sta all’inizio del testo. Prendere in mano le cose della vita, per non dover subire il potere degli altri. Non esiste una religione o una magia cui dobbiamo appellarci, neanche quando queste hanno la sembianze di una strafiga appoggiata ad una Porsche, ma solo noi stessi.