La danza delle ore

Da Miwako
Mi è sempre piaciuto osservare le persone, immaginare le loro vite, guardare le loro facce da lavoro, sorprendere un sorriso sincero nella calca delle sei, sbirciare cosa legge il tizio seduto accanto a me, con quei buffi sandali di gomma ... ultimamente però, ho ripreso a leggere con una voracità che non avevo da tempo, infilando la testa in un libro non appena salgo in metro, aspetto il mio turno alle poste, o cammino per strade che conosco quanto basta da sapere che non rischio di morire in un dirupo. Dev'essere fame, una spasmodica fame di parole che ho bisogno di placare appena il quotidie me lo consente; e loro, le parole, devono essere tutte quelle che mi sono persa mentre leggevo per preparare un esame piuttosto che per diletto, quelle di cui mi sono svuotata per scrivere la tesi.
Il risultato è che sono molto meno attenta nell'osservare le persone intorno a me, la città, i suoi ritmi, i suoi colori.Gli unici che riescono a cavarmi fuori da un libro sono gli alberi; sento gli occhi che si aggrappano ai rami come pesci agli ami.E da un lato sono dispiaciuta, è un'emozione tale per me guardare il mondo attraverso le persone, che non vorrei perdermene nemmeno una.Dall'altro, ha un suo fascino anche starsene dall'altra parte, dalla parte degli ignari che vengono osservati loro malgrado; e proprio quando ti convinci che non c'è assolutamente niente di meglio di un buon libro, ci pensano le persone a ricordarti quanto sappiamo essere straordinari, noi esseri umani.
Sono le otto meno e un quarto, quando arrivo ad Albert.Testa bassa, impiastricciata della Ginzburg fin sopra i capelli, passo incerto e orecchie sorde. Continuo a leggere, mentre m'incammino verso le scale mobili che mi riporteranno in superficie.Alle mie spalle, una bambina ride divertita, spontanea.Non ci faccio caso fin quando il suo genuino squittio non mi richiama, prepotente, alla realtà.Sorrido del suo riso di bambina, senza però distogliere lo sguardo da quelle pagine.Ad un certo punto, qualcosa nell'aria mi blocca, come una sensazione, una presenza.Volto la testa e lancio gli occhi alla mia destra.C'è un uomo, credo abbia da poco passato i quaranta. Mi guarda con aria innocente, mentre un sorriso incontenibile gli scioglie gli angoli della bocca.Le braccia alzate, sopra la testa, il collo allungato come un giunco, le scarpe flesse, sulle punte.Si, penso, sta decisamente piroettando come un'étoile.Mi guarda, aspetta un sorriso, un biasimo, una reazione.Allora, faccio quello che qualunque persona sana di mente avrebbe fatto.Chiudo il libro, alzo le braccia e inizio a volteggiare insieme a lui.Ora la bambina ride a crepapelle; guarda il suo papà giocare alle ballerine con una sconosciuta, mentre saltella con quei capelli chiari e trasparenti come i tentacoli di una medusa, e applaude concitata.Ridiamo tutti e tre, senza dirci una parola, con l'eco infinito di questa gioia insensata che rimane a vibrare tra le mura del sottopassaggio.Mentre ci salutiamo, imbocco le scale mobili e penso a quanto si sia divertita la piccola medusa, a come debba essere fantastico, nella sua testolina, avere un superpapà che importuna sconosciuti nella metro per imbastire uno spettacolino per la sua bambina.E penso che sono fortunata, a riuscire a vedere la bellezza disarmante della vita che s'infila nelle pieghe della quotidianità.Cose del genere accadono tutti i giorni nel mondo, con una semplicità e una ripetitività imbarazzante.Perché ce le perdiamo?Dove abbiamo la testa, oltre che sui libri?Dove abbiamo gli occhi?Dove abbiamo il cuore?
Mentre salgo in superficie, penso anche che non voglio perdermi niente.Niente al mondo.


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