La dea delle piccole vittorie
di Yannick Grannec
Autore: Yannick Grannec (Traduttori: F.Di Lella, M. L. Vanorio)
Edito da: Longanesi
Prezzo: 17,60 € cartaceo// 12,99 € ebook
Genere: Narrativa
Pagine: 396 p.
Trama: Ottobre 1980, Princeton: una giovane archivista, Anna Roth, riceve l’incarico di recuperare tutti i documenti di Kurt Gödel, il più affascinante ed ermetico matematico del ventesimo secolo. Per farlo deve avvicinare la vedova del grande genio, morto da due anni, un’anziana e spigolosa signora che sembra voler mettere in atto una sorta di vendetta tardiva nei confronti dell’establishment accademico rifiutandosi di cedere un archivio dal valore storico e scientifico incommensurabile. Fin dal primo incontro, Adele Gödel si mostra diffidente nei confronti di Anna, eppure non la respinge. Si limita a imporle le proprie regole. Perché Adele sa che le resta poco da vivere ma c’è una storia che vuole assolutamente raccontare, una storia che nessuno ha mai voluto ascoltare. Dal grande fermento culturale della Vienna anni Trenta alla Princeton nell’immediato dopoguerra, dal maccartismo all’avvento delle armi nucleari, Anna scopre la vita di una donna che ha a lungo caparbiamente cercato un impossibile equilibrio fra genio, amore e follia.
«Ci sono due modi di diffondere la luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette.»
Ciò che si evince, in ogni caso, è che Kurt Gödel, sicuramente un genio nella sua materia, fosse un uomo dalla personalità fortemente disturbata, molto incline alla malinconia e con una spiccata propensione all’ipocondria e alla paura insita negli alimenti, che lo porterà poi alla morte per iponutrizione. La dea delle piccole vittorie racconta la storia dell’amore che la moglie Adele provava nei confronti del marito e l’amore che Kurt Gödel provava nei confronti della matematica, e di come questa donna straordinaria – pur nella sua mediocrità intellettuale – sia riuscita a salvare il marito dalle sue paure, dalle sue manie e da un’Europa dove lentamente si concretizzavano le idee che avrebbero poi portato al secondo conflitto mondiale. Un viaggio attraverso l’intelletto, la pazzia e la decadenza di uno dei massimi uomini di scienza mai esistiti al mondo.
Avrebbe potuto vederci una manifestazione del principio dell’entropia: il disordine di un sistema tende sempre a crescere. Una tazza rotta non potrà mai rincollarsi da sola. L’universo è disordine e si serve del disordine per generare altro disordine. Così, il sanatorio di Purkersdorf era diventato la sua seconda casa.
«Vado in ufficio solo per avere il privilegio di tornare a casa insieme a Kurt Gödel.» Albert Einstein
Non ero poi così emozionata ad avere alla mia tavola il più grande genio del XX secolo. Sapevo che le piaggerie lo lasciavano indifferente; mi attenevo comunque al mio metodo: far parlare gli uomini del loro lavoro o delle loro prodezze sportive. Con i presenti non c’era il problema di dover decidere fra le due opzioni. Albert mi guardava divertito. Puntò la forchetta verso Kurt.
«Gödel, lei non ha un minimo di fair play! Io, per spiegare le sue, ho dovuto sudare sette camicie non so quante volte.»
«Voglia perdonare mia moglie per questa richiesta inopportuna, Herr Einstein. Adele ogni tanto si comporta da sciocca. Non ha nessuna conoscenza scientifica. Mi sfinisce col suo voler sempre ficcare il naso in cose che non la riguardano.»
«È un bel naso però! E credo che Adele riuscirebbe a imparare i principi della relatività in meno tempo di quanto ne servirebbe a me per imparare a cucinare.»
Un romanzo, certo, di non facile lettura, dove i limiti tra il razionale e l’irrazionale sono spesso offuscati e confusi. L’amore tra Adele e Kurt, che non hanno assolutamente niente in comune l’uno con l’altro, la devozione di questa donna che sacrifica tutta una vita ad amare e accudire un uomo profondamente egoista, incapace di amare qualcuno, compreso se stesso.
Non avevo più un briciolo di coraggio. Ero imprigionata all’interno di una donna grassa e arida. Tutto il mio essere mi urlava di abbandonare la lotta. Io ero enorme, lui era trasparente, come se gli avessi risucchiato tutta la carne. Eppure, in realtà, era lui che mi aveva logorata, mi aveva sfruttata come una batteria di riserva. Gli ultimi anni mi erano sembrati interminabili. Non avevo avuto figli. Non avrei lasciato nessuna traccia del mio passaggio. Non ero niente. Non ero altro che sofferenza. Non potevo neanche permettermi di mostrare all’esterno le mie debolezze, per non rischiare di vederlo ancora più depresso.
Lo stile del libro è pulito, sintetico, a volte scarno, non c’è un reale coinvolgimento emotivo da parte del lettore. Alcune parti del libro sono poi talmente tecniche che solo un esperto di matematica riuscirebbe veramente a capirne qualcosa. Il ritmo del libro è in generale lento, salvo alcune parti che oserei definire logoranti, si ha come l’impressione di non arrivare mai alla fine. Va comunque data una nota di merito all’autrice per l’accurata e minuziosa ricerca storica del personaggio.