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La definizione e la funzione odierna dell’arte: piccola introduzione ad un problema aperto

Creato il 18 agosto 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura

18 agosto 2013 · di  · in Arte Impura Willem De Kooning, Gotham News

Willem De Kooning, Gotham News

Di ANTONELLO BOTTARO

Da sempre si è cercato di poter dare una definizione “soddisfacente” di ciò che può essere considerata Arte o produzione artistica, sia che ci si riferisca ad opere d’Arte come prodotto autografico e unico oppure ad opere allografiche e riproducibili, sia che si abbia in mente piuttosto il processo della creazione dell’opera d’Arte  (Pollock , De Kooning per menzionare dei classici) oppure un evento che condensi l’operare artistico in un concetto, in un’idea dotata di senso autonomo, in un’azione significativa in grado di lasciare un segno nel fruitore-spettatore.

Ma una definizione “soddisfacente” cosa dovrebbe soddisfare?

Vediamo come già in questo porsi problematico dell’opera d’Arte confluiscano spesso interessi contrastanti. È indubbio che l’enfasi posta su tale problematicità ci indichi innanzitutto che storicamente l’Arte è sempre sfuggita ad ogni ermeneutica che potesse, per così dire, cristallizzare questa forma d’espressione umana in una teoria su cui mettere un punto fermo; non sapremmo dire nemmeno se ci sia stata l’intenzione di blindarla e immunizzarla (mummificandola?) da ogni altra referenza ideologica che nel divenire e trasformarsi delle culture veniva ad attraversare le sue orbite.

Il profilo dell’Arte sfugge continuamente ad ogni forma di appropriazione logica o semantica in modo esclusivo, mentre docilmente si presta ad essere linguaggio potente ed impressivo, arte che seduce ed elude, promette soluzioni e chiavi di lettura che danno un senso nuovo rispetto a ciò che ha senso mentre disvela nuovi enigmi e nuove relatività. Un  mozzo talvolta vuoto ma necessario intorno a cui ruotano il dibattito culturale e la ricerca, pronto a delocalizzarsi sbilanciando presunte acquisizioni, indisponibile a farsi base stabile ed ancoraggio di nuovi interessi che, in nome dell’Arte, fanno altro. Funzioni che sono proprie dell’Arte, caratterizzate da una relativa imponderabilità e che da sempre abitano i confini invisibili tra mondi di senso e non senso, aspetti o momenti diversi della medesima realtà, si rivelano solo nel realizzarsi ostensivo che è proprio dell’opera d’arte.

Per questo motivo appare sempre sospetta un’eccessiva verbosità, una concettualità contorta, una razionalità omologante, che possono riguardare l’Arte ma non sono l’Arte. Capita ultimamente di restare del tutto indifferenti rispetto a manifestazioni artistiche che godono tuttavia di affascinanti introduzioni o esegesi critiche:  l’unico aspetto estetico e artistico che l’opera ci offre è prodotto da chi aveva solo il compito di farci da guida negli inferi. C’è Virgilio e manca l’inferno da esplorare.

Il dibattito sul tema dell’Arte, la sua definizione, la sua presenza nel tessuto culturale e sociale dell’uomo, vedono parecchi attori aggirarsi affannosamente attorno al capezzale di un malato che un tempo era il demiurgo, divinità fattasi mortale e da alcuni data per spacciata: vediamo chi urla disperato, chi abile dottore suggerisce ricette improbabili, altri vengono da lontano (non sapevano di essere così strettamente imparentati) in attesa di qualche improbabile eredità. E c’è chi parla di uno scambio di identità: il malato non è mai stato tale, si trova altrove! Forse in un’area protetta dove nuovi scienziati stanno ricostruendo parti mancanti in attesa della palingenesi.

Non si può fare a meno di constatare, infatti, quanta confusione si vada creando sul tema dell’Arte, argomento diventato da solutore di problemi, da luce per l’umanità, problema esso stesso, fonte di dissensi o strumento di improponibili estensioni del profitto fondato sull’anabolismo mediatico. Non possiamo non constatare come l’arte si sia prestata al ruolo di decriptatore sacrificabile, traslocabile come un nodo luminoso sui percorsi più fecondi dell’agire intellettuale, arte come annunciatrice di soluzioni a venire, e testimone palpitante dei data della memoria storica.

Sebbene sia legittimo porsi il problema di una decifrazione del problema dell’Arte, forse la risposta più corretta non è una risposta o è una non-risposta. Direi che la cosa più interessante di quanto successo all’Arte è proprio questo essersi fatta problema. Perdere quasi tutti i suoi connotati estetici è come aver dismesso le belle vesti, mostrata la sua essenza più vera, abbandonando la condizione privilegiata di sospensione dai problemi, la reggia delle certezze e occupando prepotentemente le aree più elevate della coscienza umana in modo intensivo e talvolta drammatico.

Se è vero che l’Arte è il registro consonante delle problematiche del mondo, essa non può non mostrare quanto c’è di brutto, rinunciare alla bellezza formale attuando lo spostamento dell’esteticità nel campo concettuale; e se anche questa traslazione non bastasse a farsi canale di comunicazione per l’invisibile, l’Arte finirebbe comunque, come di fatto accade, col perdere i connotati di bellezza intellettuale assumendo ruoli di provocatrice, utile per attuare una qualche catarsi spirituale, o una trasmutazione sensoriale.

L’estrema frammentazione e dispersione del messaggio culturale e dei suoi effetti, la sua ubiquitarietà e comprensione hanno prodotto una consapevolezza diffusa con riverberi non localistici ma decentrati e per questo amplificati. Anche nei tempi passati il mondo non era complessivamente migliore: guerre, pestilenze, ingiustizie, repressioni, ignoranza, incertezza ed angoscia sociale ed individuale, grettezza spirituale ed intellettuale, ad un improbabile censimento sarebbero risultati ben peggiori e diffusi di quelli attuali.  Ma l’Arte viveva nelle coscienze di artisti ben trincerati culturalmente e spiritualmente esenti dalle incertezze che invece oggi un livello di consapevolezza globale è in grado di generare in un artista che sia realmente situato nel mondo, e ne condivida le problematiche esistenziali con passione e consapevolezza, sia se operi per dare un contributo, sia nel caso in cui si limiti a registrarne sensibilmente gli effetti. L’artista sarà sempre il propulsore di informazioni sottili, che difficilmente potrebbero essere trasmesse  con intensità e pregnanza simili a quelle concesse allo strumento estetico.

In passato la struttura dell’impianto teorico estetico affidava all’Arte una funzione iconica importante che, pur passando attraverso una continua evoluzione stilistica, non veniva mai radicalmente messa in crisi. Le abilità, non solo tecniche, dell’artista e quelle intellettuali, avevano modo di esprimersi ampiamente, innovando e offrendo visioni nuove e culturalmente significative ai suoi fruitori, restando nell’ambito di canoni estetici riconosciuti e consolidati dalla tradizione e da un’accoglienza popolare che non aveva alcuna difficoltà a fruirne. 

Dalla fine del XIX secolo si assiste in occidente a quel vertiginoso progresso tecnologico e scientifico che condiziona l’intero sistema economico mondiale, ma soprattutto innesca una febbre intellettuale che vede nascere nuove concezioni scientifiche, filosofiche, etiche. Una sorta d’ispirazione sincronica, che sembrava stesse nella natura delle cose, vede protagonisti scienziati e filosofi che, come grandi artisti, decretano la fine di certezze consolidate. Si sostituisce all’idealismo ideologico e romantico un’attenzione basata sui fenomeni e i fatti concreti, che impone un’attenzione diversa ai problemi dello spirito e delle relazioni umane; gli egoismi e le certezze categoriali e conservatrici devono fare i conti con risultati che prospettano un divenire frenetico e inarrestabile della ricerca, e con una classe di giovani desiderosa di cambiamento e progresso. Come sappiamo, le due guerre mondiali e le loro conseguenze determineranno un arresto relativo e confuso di questi progressi o addirittura regressioni (reazionarie o rivoluzionarie che dir si voglia) le quali accentueranno in modo significativo il clima d’incertezza e una visione pessimistica del destino dell’umanità.

Anche oggi stiamo vivendo un’altra rivoluzione tecnologica e culturale (o dovremmo dire metaculturale?). L’era digitale sta al nostro tempo come la tecnologia industriale al secolo scorso: la sua importanza risiede nella neuralizzazione dell’impianto umano su questo pianeta. Sempre più acquistiamo la consapevolezza di vivere all’interno di una dimensione comunicativa che ci rende esseri sinapticamente interconnessi, con una presenza di unità neuro-umane pari a cifre a nove zeri.

Nel proliferare di linguaggi della grande torre di Babele, i fenomeni di deformazione semiografica e logico-simbolica diventano quasi fisiologici e prevedibili, riguardano inevitabilmente le masse e trascinano con sé ogni forma di espressione, inclusa quella artistica. L’Arte vuole privilegiare segni non più eteronomi e condivisi, ma darsi statuti e simbologie proprie. L’orinatoio duchampiano non è stato che l’inizio, ma già in sé, se anche l’artista non lo avesse connotato diversamente, risultava capace di significarsi semplicemente mostrandosi. L’arte attuale per significarsi richiede uno speciale rinforzo comunicativo, una preparazione che disambigui, che eviti reazioni incontrollate (si pensi alla performance della Abramovic a Napoli). Sicuramente è una disarmonia significativa dell’Arte attuale, forse anche necessaria alla sua esistenza. Tuttavia ciò è destinato a mutare, a evolvere in una direzione meno confusa e disordinata, nonostante lo scambio delle assunzioni di responsabilità per così dire continui. Nell’arte convergono contributi epistemici da ogni dove, dalla scienza della mente a quella sociale e storiografica, ponendosi essa come naturale polo di attrazione e interesse dell’umanità.


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