Pensieri rasoterra:
I vertici della finanza europea e il codazzo di galoppini economisti che per vanità ne seguono a ruota l’autorevolezza (dal regime dei bocconiani alla serietà della stampa economica internazionale), si affannano da tempo nel dire che la deflazione è un grave problema per l’economia. Vista asciuttamente, nella contingenza del suo significato, la deflazione dovrebbe essere in realtà un qualcosa di positivo per i consumatori in generale e non, invece, lo spauracchio della nuova Europa targata BCE. La deflazione è infatti il calo dei prezzi, e il calo dei prezzi, concretamente e senza scomodare i teoremi dei guru finanziari, non può che essere visto con favore da ogni consumatore praticante.
E invece, paiono dirci questi nuovi cabalisti contemporanei, ciò che sembrerebbe buono per i consumatori non lo sarebbe invece per i consumi (da questo punto di vista, è ormai noto il demenziale meccanismo che favorisce l’impersonale consumo a scapito di ogni consumatore in carne ed ossa: bisogna consumare per produrre e non produrre ciò che serve, che può essere consumato, assimilato, utilizzato. Un mondo rovesciato, della serie: l’uomo "deve" sempre prostrarsi alla bontà del meccanismo economico!). Causata dalla mancanza di domanda e dall’incapacità, da parte dei produttori, di piazzare le loro merci sui mercati, quella deflazione, dicono i professionisti della finanza, potrebbe suscitare nei consumatori l’aspettativa di altri cali. Diffidando così dell’acquisto, verrebbe ulteriormente indebolita la domanda, che farebbe calare quindi anche i ricavi delle imprese che, conseguentemente, acquisteranno meno beni o servizi e ridurrebbero così pure i livelli occupazionali. La deflazione, insomma, farebbe avvitare su sé stesso l’intero meccanismo di movimentazione economica, contraendo infine i consumi. A dirla tutta, non è detto che le cose, empiricamente, debbano necessariamente seguire le dogmatiche previsioni della "logica" economica (anche perché, in barba a qualsiasi oggettività scientifica, trattasi di una "logica" disposta a truccare persino i dati pur di persuadere la ragione alle proprie “ragioni”): il Giappone, ad esempio, dopo due decenni di deflazione sembra abbia mantenuto, volendo prestare ascolto a quegli stessi economisti, un “indice di qualità della vita superiore alla media mondiale”. Ma se anche avessero ragione della loro oggettiva scienza e del pericolo rappresentato dalla deflazione: la contrazione dei consumi non potrebbe significare che invece abbiamo già tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere? La saturazione del mercato non parrebbe, da questa diversa prospettiva, una condizione di benessere acquisito e di consistenza materiale? In tal senso, il pericolo deflattivo sembrerebbe mettere in difficoltà anzitutto la credibilità della scienza dell’eco di fronte ai bisogni umani (almeno fino a quando quegli stessi bisogni non si sono lasciati, passivamente, drogare dall’opulenza e dalla frivolezza del compulsivo possesso di oggetti). Che la ricchezza non sia esclusivamente legata al denaro e alla moneta (deflazione ed inflazione), se ne accorsero alla fine del Cinquecento anche gli spagnoli dominati dagli Asburgo. La Spagna, benché padrona della grande ricchezza costituita dalle “nuove” miniere americane di oro e argento, si impoverì velocemente proprio in virtù dell’aumento dei prezzi causati da quell’abbondanza.