La demenza senile di alzheimer

Creato il 30 maggio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Claudia Boddi

Generalmente conosciuto con il nome di “demenza senile”, il morbo di Alzheimer sta a poco a poco acquisendo dimensioni sempre più drammatiche. Numerosi passi avanti sono stati fatti dalla ricerca da quando, per la prima volta il dottor Alois Alzheimer presentò nel 1906 al congresso di Tubinga il caso di una donna di 51 anni che manifestava i sintomi della demenza neurodegenerativa. Importanti disturbi della memoria, comportamenti di tipo fobico, uniti al disorientamento spazio- temporale, sono i sintomi principali della patologia che, con il suo progredire, può portare a quadri clinici estremamente più complessi che, vedendo la compromissione della corteccia celebrale, possono portano quindi anche alla morte.

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In anni come questi, in cui la risposta medica è stata tarata soprattutto sul bisogno acuto, i casi di disfunzioni croniche, come la malattia di Alzheimer, si accingono, per questa via, a incidere sempre più e più pesantemente sull’indice della mortalità mondiale. Malattie vascolari e tumorali vengono trattate con azioni intensive, nelle strutture ospedaliere, che terminano con la guarigione o con il fallimento. Culturalmente non siamo ancora del tutto pronti ad affrontare la cronicità che avvolge alcuni tipi di patologie, come quelle neurodegenerative. Farsi carico del paziente e prendersene cura, ascoltando l’insorgere dei suoi bisogni e valutando le sue nuove sofferenze per un periodo di lunga durata (8-10 anni solitamente intercorrono dalla diagnosi della malattia) significa dare risposte complesse che richiedono interventi sistemici a vario livello. Ad oggi, infatti, fonti certe riportano come ogni sette secondi venga effettuata una diagnosi di Alzheimer, come altresì attualmente si contino 24 milioni di persone che ne sono affette e come nel 2040 sia previsto che il problema arriverà a colpire 80 milioni della popolazione del pianeta. Dati allarmanti come questi derivano da una situazione complessa, a livello sociopolitico ed economico, sulla quale la malattia di Alzheimer si instaura. Ad essere colpiti dal morbo sono prevalentemente gli anziani, a partire dalla cosiddetta fascia “presenile”, che comprende coloro i quali hanno compiuto 55 anni di età.

In seguito all’allungamento dell’aspettativa media di vita, in particolare nei paesi sviluppati, si registra l’esordio di diversi problemi legati all’invecchiamento, la maggior parte dei quali rimane per lo più erroneamente addotta all’età, lasciando così nell’ombra le cause organiche che li hanno determinati. Possiamo addirittura azzardare, dicendo che la malattia di Alzheimer si identifica con l’invecchiamento stesso pertanto l’anziano che si dimentica alcune cose o che non è più in grado di farne altre, viene considerato con rassegnazione, come l’effetto di un processo intrinsecamente correlato al ciclo vitale. Nelle società moderne, nelle quali l’efficienza fisica e intellettuale sono i grimaldelli della realizzazione personale e sociale, gli anziani rappresentano una fascia debole, fortemente esposta e vulnerabile.

È per questo che, troppe volte purtroppo, in passato si è scelto di non investire su terapie intensive e durature mirate a questo tipo di problematica. In una fase di limitazione di risorse, è sugli anziani che agiscono le direttive di tagli e risparmi, dimenticando che quello della demenza è il problema per eccellenza che affligge le nostre società, per cui interventi ad hoc potrebbero incidere significativamente sulla qualità della vita delle persone che ne sono affette e sulla speranza di vita di chi ancora non rientra nel target esaminato.

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