La democrazia e la crisi del giornalismo

Creato il 07 febbraio 2014 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

Se anche ai tempi di Gesù Cristo in mezzo alla folla che gridava “Crucifige” si fosse levata qualche voce contraria in grado di riportare tutti alla ragione forse la storia dell’umanità sarebbe potuta andare diversamente. Invece in quella folla inferocita non c’era alcun posto per il dissenso. Usa l’esempio del “Crucifige” di Gustavo Zagrebelski, Padre Francesco Occhetta, per ribadire l’importanza enorme di una stampa libera e capace di esprimere il dissenso. Di una stampa democratica che riprenda il ruolo spesso dimenticato di cane da guardia che sta alle calcagna del potere. Ruolo sempre più lontano dalla nostra realtà di tutti i giorni dove tanti giornalisti contrattualizzati sono succubi degli interessi economici di cui sono portatori i loro datori di lavoro e i tantissimi precari da due euro a pezzo che non possono raccontare tutta la verità perché privi delle coperture legali per potersi difendere da eventuali querele. Di quale sia il giornalismo in grado di rifondare la democrazia nel nostro Paese e quale sia il ruolo attuale dei giornalisti si è parlato a Cagliari nel corso dell’incontro formativo “Quale giornalismo per rifondare la democrazia?” tenuto alla Facoltà teologica di Cagliari da Padre Francesco Occhetta, redattore di “La Civiltà Cattolica” e consulente nazionale dell’Ucsi, l’Unione cattolica della stampa italiana. L’incontro – patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti della Sardegna nell’ambito del Programma di formazione 2014-2015 – è stato anche l’occasione per fare una riflessione sull’ormai improrogabile riforma dell’Ordine nazionale dei Giornalisti secondo criteri di giustizia, autonomia ed eguaglianza che garantiscano una minore disparità di trattamento all’interno della categoria.

«Questo è il primo incontro di formazione organizzato dall’Ordine della Sardegna – ha detto il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna Filippo Peretti intervenendo dopo i saluti del preside della Facoltà teologica Padre Maurizio Teani e dei presidenti regionali di Ucsi e Assostampa, Mario Girau e Francesco Birocchi. «Per noi è una nuova importante sfida – ha aggiunto Peretti dopo che i lavoratori dell’emittente televisiva Sardegna 1, simbolo della crisi che sta investendo l’editoria in Sardegna, avevano manifestato illustrando la loro drammatica vertenza sindacale – : è necessario sollevare il livello della professione giornalistica e accendere una luce in fondo al tunnel della crisi che sta devastando la nostra informazione. Il futuro del giornalismo – ha sottolineato – sta nella credibilità e nell’autorevolezza dei giornalisti nel sapersi distinguere per la loro capacità di certificare le notizie». Impresa non facile visto che, come ha spiegato poco dopo Padre Occhetta, le ultime ricerche del Censis attestano che il 60 per cento degli italiani ritiene non credibili i giornalisti (si salvano, a quanto pare solo le testate più vicine al territorio).

Democrazia e informazione

«Democrazia e informazione sono due vasi comunicanti», ha spiegato Padre Occhetta: «più alta è l’ingerenza del potere politico e più il giornalismo è malato. Mentre se sale troppo il livello del giornalismo vuol dire che è la politica ad essere malata e consente alle lobby economiche di dettare l’agenda politica. Il giornalismo – ha aggiunto – non deve essere né schiavo né padrone, ma deve essere la coscienza critica della società perché la democrazia è il potere di un popolo informato. La democrazia è un bene spirituale fragile che deve essere custodito – ha rilevato il padre gesuita – mentre in questa società sempre più liquida manca la memoria storica e nel web c’è il grande pericolo che  le decisioni siano lasciate in mano a delle minoranze estremistiche. Nella democrazia liquida si sa cosa si vuole distruggere ma non si capisce cosa si vuole costruire».

Troppo spesso i giornalisti abdicano al loro ruolo di memoria storica e difensori della democrazia. E troppo spesso, più che alle notizie utili alla crescita della società, danno rilievo a quelle utili solo al mercato e agli interessi dei loro editori. Nonostante la legge istitutiva dell’Ordine consenta loro di rifiutarsi di pubblicare notizie non vere o non verificate, i giornalisti molto spesso faticano ad essere autonomi rispetto al datore di lavoro e a focalizzare l’attenzione sui problemi veri dei cittadini e delle istituzioni preferendo omissioni e silenzi in cambio di una carriera redditizia.  Spesso, soprattutto i giornalisti che si occupano di politica, frequentano i palazzi del potere trascurando i corpi intermedi come famiglia, associazioni di categoria e sindacati che sono invece il vero termometro della salute delle istituzioni e della società. E tante volte la professione è esercitata abusivamente oppure da giornalisti inesperti usciti dalle scuole di giornalismo mandati allo sbaraglio senza una buona preparazione sul campo e senza avere neppure scritto un articolo per un giornale o fatto un servizio televisivo.

Divulgare il bene, linkarlo il più possibile, condividerlo e fare Rete.  Ma anche denunciare il male proponendo delle alternative. Questi, secondo il padre gesuita, i compiti di un buon giornalista.  Che non deve però avere la pretesa di essere il detentore della verità assoluta. Perché la verità – ha spiegato Padre Occhetta – non è qualcosa che appartiene ad una sola persona ma è una sinfonia composta da tanti punti di vista. Il giornalista deve guardare la realtà e deve scrivere tutto quello che vede senza omettere nulla, perché una mezza verità equivale a una cosa falsa. Deve essere la  memoria storica di quello che succede in una società. Per questo, per essere credibile, deve anche essere coerente con ciò che racconta, in modo da stabilire un legame affettivo con chi lo segue. Le notizie cambiano molto a seconda della credibilità di chi le dà. Se dieci anni fa c’erano soltanto giornali e tv, ha spiegato Occhetta, con la grande scelta di fonti di informazione oggi ognuno si sceglie la sua dieta mediatica. «La differenza tra prima e dopo internet è epocale – ha detto – : è la stessa differenza che esiste tra camminare e navigare. E’ cambiata la dimensione antropologica, il modo di vivere la comunicazione ed ora serve veramente una bussola perché è enorme il rischio di perdersi o ritornare al punto di partenza». Soprattutto per gli adolescenti, quelli che citando Michele Serra ha definito la generazione degli “sdraiati”, che hanno bisogno di nuovi e più interattivi modi per essere coinvolti.

Eppure rispetto al passato una cosa non è cambiata: il valore dell’onestà. Quell’onestà intellettuale che – diceva Indro Montanelli – non significa essere esenti dagli errori, ma significa evitare distorsioni maliziose della realtà e faziosità. Significa cercare un punto di vista più possibile obiettivo e non farsi muovere dal servilismo e dal carrierismo.  «L’onestà è il principio fondamentale su cui si basa la democrazia – ha detto Occhetta – . Il giornalista deve informare e formare l’opinione pubblica secondo i principi della Costituzione e i suoi valori. Tutto il resto è propaganda, sensazionalismo, uso strumentale delle notizie e cronaca acritica. La stessa Corte di Cassazione – ha ricordato – evidenzia quali sono i principi perché l’informazione abbia una utilità sociale: la ricerca della verità, oggettiva o anche putativa,  e la forma civile dell’esposizione dei fatti. Perché la parola – ha detto – ha una sua nobiltà. E’attraverso la parola che Dio ha creato il mondo.

Oltre a tante criticità durante l’incontro è emersa anche un po’ di speranza. Alla crisi del giornalismo si può rispondere con un ritrovato senso di responsabilità, una preparazione rigorosa, una apertura ai new media e ai social network e una credibilità garantita dalla formazione professionale. «Il giornalista politico ha il compito di interpretare e contestualizzare le notizie in forza di una certificazione da parte dell’Ordine – ha concluso Padre Occhetta -. Non dimentichiamo che se tutti i giornalisti sono comunicatori non tutti i comunicatori sono giornalisti». Ben venga l’aggiornamento professionale richiesto dall’Ordine dei Giornalisti se verrà interpretato non soltanto come un modo per ricevere i crediti formativi richiesti, ma come un mezzo per ritrovare la passione, il senso più alto della professione e la forza di sollevare la testa davanti ai poteri forti per difendere la democrazia.


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