La descrizione di un personaggio

Da Marcofre

È tempo di tornare a parlare della descrizione del personaggio (un argomento che in parte avevo sfiorato in passato, in un post intitolato “La bussola dello scrittore esordiente”).
La lezione che si ricava leggendo diverse opinioni di vari autori (per esempio Anton Čechov o Flannery O’Connor, e tanti altri), è che gli stati d’animo non si devono descrivere: ma mostrare.

Scrivere vuol dire tagliare

Esatto, si tratta della celeberrima indicazione del “Show, don’t tell”. Lo stato d’animo di un personaggio dovrebbe scaturire dalle sue azioni. Se si usa un altro sistema esiste il rischio di fare una specie di elenco. Di cadere in trappola dei dettagli. Sì, lo so, i dettagli sono importanti, e via discorrendo. Ma quando si abbonda, quando ci si lascia prendere la mano, alla fine la scrittura si appesantisce e il lettore si stanca.
O si impara a fare la cernita, a scegliere cosa tenere o cosa gettare, oppure.
Oppure? Ci si deve affidare a un bravo lettore esterno, o un editor, che provvederà a leggere e consiglierà di tagliare, tagliare, tagliare. Perché scrivere, è sempre bene ricordarlo, vuol dire tagliare, non accumulare. Lasciare solo ciò che serve.

Un criterio per tutti

Se scrivo una storia dove il protagonista è sfortunato, le cose gli vanno male… Ci sono discrete possibilità che il lettore si identifichi, lo apprezzi, magari si commuove, ed ecco che siamo tutti fratelli dello stesso pianeta. Possiamo dire che è un trucco che funziona sempre, non è vero?
Prendiamo a esempio Charles Dickens: ci sono, nei suoi romanzi, bambini molto sfortunati e vecchietti abbastanza rimbambiti. In parte l’attenzione verso i bambini è dovuta al trauma della prigione (in Inghilterra chi non pagava i debiti, nell’Ottocento, era incarcerato con la famiglia). In parte, è una scelta per offrire al pubblico quello che vuole. Identificarsi appunto col debole.
La faccenda cambia quando entrano in campo i potenti.
Di solito quando spunta fuori l’autorità, il potere forte, ecco che bisogna prendere in mano la clava e menare a destra e a manca. Un esempio? È sufficiente dire: “Banca”, e ci si aspetta una valanga di maledizioni, di indignazione, eccetera eccetera. Infatti lo scrittore si adegua, e il lettore applaude.

Qua la mano fratello! Allora siamo della stessa combriccola! Uao! Uao! Uao!”.

Se uno speculatore della borsa di Milano ha il padre paralizzato in un letto di ospedale, e piange ogni volta che lo va a trovare, (mostra la propria umanità) che succede? Che il lettore non approva e se la prende con chi scrive.

Ma come! Ha fatto chiudere una fabbrica e ha mandato a spasso 30 famiglie, e adesso mi mostri che sa piangere? È umano? Sei un pessimo scrittore! Sei amico delle banche!”.


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