La didattica per i dislessici secondo le linee guida del miur

Da Rossellagrenci

Ritorno ancora a parlare di Linee Guida pubblicate dal MIUR riguardanti gli alunni con Disturbo Specifico di Apprendimento. Purtroppo mi sto rendendo conto, nella mia pratica quotidiana come logopedista che lavora in un ente pubblico e che si occupa di valutazione, che spesso il mondo della scuola, dopo la legge 170, ha eretto un muro ancora più alto per difendersi. Ma da cosa? Dalla paura del diverso, dall’ignoranza? Stanno accadendo le cose più strane e assurde: la richiesta continua da parte delle scuole (medie e superiori) di diagnosi aggiornate (anche prima dei 3 anni previsti dalla legge), come se il disturbo dovesse scomparire magicamente o variare in tempi brevi. La richiesta di ”sapere cosa fare” fatta ai genitori i quali, poverini, non sanno cosa rispondere. Senza scordare gli atteggiamenti di negazione del problema attraverso i quali gli insegnanti vanno avanti per la loro strada oppure si “rassegnano” ad avere un dislessico in classe, così come successo nella mia città, con gravi conseguenze per il benessere psicologico dei ragazzi. E’ questo quello che volevamo dalla legge 170?

C’è ancora tanto da fare….

Per questo che continuo nella mia azione di evidenziare le parti più significative delle Linee Guida.


4. Una didattica per gli alunni con DSA

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo incremento in ambito clinico degli studi, delle ricerche e delle attività scientifiche sul tema dei DSA. Consultando la bibliografia in argomento, si rileva infatti una quantità preponderante di pubblicazioni nei settori della clinica e delle neuroscienze, rispetto a quelli pedagogico-didattici. In tempi più recenti, anche per le dimensioni che ha assunto il fenomeno nelle nostre scuole, oltre che per l’attenzione determinata dagli interventi legislativi in materia, si è manifestato un sempre maggiore interesse per la messa a punto e l’aggiornamento di metodologie didattiche a favore dei bambini con DSA.

Sulla base di una impostazione tuttora ritenuta valida, la didattica trae orientamento da considerazioni di carattere psicopedagogico. A tale riguardo, può essere utile far riferimento a testi redatti nell’ambito di studi e ricerche che si concentrano sul comportamento manifesto, sulla fenomenologia dei DSA, senza tralasciare di indagare e di interpretare i modi interiori dell’esperienza. In tale ambito, si cerca di indagare il mondo del bambino dislessico secondo la sua prospettiva, non come osservatori esterni. Si porta il lettore attraverso vari esempi a comprendere come il bambino dislessico non riesce a mettersi da un punto di vista unitario, ciò che provoca una corsa ai punti di riferimento, poiché ad ogni movimento verso il mondo sorge spontaneamente un doppio significato. Un esempio è quello del turista che si trova in Inghilterra dove vi è un sistema di guida diverso e dove si fa fatica a guadagnare nuovi punti di riferimento. E vi è l’esempio di un Paese ancora più insolito dove la barriera del linguaggio è raddoppiata da quella dei significati. Immaginiamo di trovarci in un posto con una lingua totalmente diversa o che non riusciamo a ben comprendere: sentiamo sorgere un senso di profondo disagio perché manca “una comunicazione completa, reale, intima”. Ma riusciamo a tranquillizzarci perché il nostro soggiorno avrà termine e, con il rientro a casa, potremo tornare ad esprimerci, a parlare in rapporto allo stesso quadro di riferimento, a trovare uno scambio vero, uno scambio pieno. Pensiamo invece al disagio di questi bambini che non possono tornare a casa, in un mondo dove devono rincorrere punti di riferimento…che rimangono stranieri, soprattutto se noi siamo per loro stranieri, chiudendoci nell’incomprensione.

Da tali indicazioni si può prendere spunto per trarre orientamento nella prassi pedagogico-didattica. Gli insegnanti possono “riappropriarsi” di competenze educativo-didattiche anche nell’ambito dei DSA, laddove lo spostamento del baricentro in ambito clinico aveva invece portato sempre più a delegare a specialisti esterni funzioni proprie della professione docente o a mutuare la propria attività sul modello degli interventi specialistici, sulla base della consapevolezza della complessità del problema e delle sue implicazioni neurobiologiche.

Ora, la complessità del problema rimane attuale e la validità di un apporto specialistico, ovvero di interventi diagnostici e terapeutici attuati da psicologi, logopedisti e neuropsichiatri in sinergia con il personale della scuola non può che essere confermata; tuttavia – anche in considerazione della presenza sempre più massiccia di alunni con DSA nelle classi – diviene sempre più necessario fare appello alle competenze psicopedagogiche dei docenti ‘curricolari’ per affrontare il problema, che non può più essere delegato tout court a specialisti esterni.

È appena il caso di ricordare che nel profilo professionale del docente sono ricomprese, oltre alle competenze disciplinari, anche competenze psicopedagogiche (Cfr. art. 27 CCNL). Gli strumenti metodologici per interventi di carattere didattico fanno parte, infatti, dello “strumentario” di base che è patrimonio di conoscenza e di abilità di ciascun docente. Tuttavia, è pur vero che la competenza psicopedagogica, in tal caso, deve poter essere aggiornata e approfondita.

È per questo che il MIUR già da anni promuove azioni di formazione sul territorio e, da ultimo, ha sottoscritto un accordo quadro per l’alta formazione in ambito universitario sul tema dei DSA (si veda il paragrafo 7, sulla formazione). Si tratta di percorsi comuni per quanto riguarda l’approccio psicopedagogico, ma differenziati rispetto agli ordini e gradi di scuola. Vi sono infatti peculiarità dell’azione didattica che vanno attentamente considerate.