La difficile arte dell'imperfezione

Da Marcoscataglini

La storia dell'umanità è alla fin fine solo una continua, estenuante ricerca della perfezione. Si vorrebbe essere sempre più efficienti, sempre più veloci, sempre più tecnologici, sempre più intelligenti... Il limite viene continuamente spostato in avanti, generazione dopo generazione. Ma davvero noi siamo migliori dei nostri nonni, bisnonni o trisavoli? Davvero siamo stati capaci di creare un mondo più giusto e sostenibile? Indubbiamente, in molti campi sono stati fatti dei passi avanti enormi, basti pensare alla speranza di vita, che sino a non molto tempo fa si fermava a 40-50 anni e oggi supera gli 80 anni. Ma al dunque, dobbiamo sempre fare i conti con i nostri limiti più profondi, il nostro essere soltanto dei Mammiferi, genere Homo, specie sapiens, sottospecie sapiens. Carne, sangue, cellule. Alla nostra intrinseca imperfezione ci dovremo abituare, prima o poi: dovremo sottostare alla nuda e cruda realtà che non saremo in grado di spingere il limite in avanti all'infinito. E dunque, la vera perfezione nasce laddove si riesca, pienamente, ad accettare la propria imperfezione. E' accettare il limite l'unica autentica saggezza, non la continua ricerca del suo superamento.
Bene, ora vorrei trasferire tutto questo ragionare astratto in un campo che conosco bene: quello fotografico. Da quando è stata inventata, la fotografia ha cercato di ottenere il massimo della fedeltà nella riproduzione del reale (o supposto tale), sfruttando al limite la tecnologia. Obiettivi sempre più nitidi e luminosi, pellicole (e poi sensori) via via più sensibili e incisi, tecnologie avanzatissime hanno creato nei fotografi l'illusione che non ci fosse alcun limite alla perfezione.Si poteva, e dunque si doveva, fare in modo che la nitidezza sfiorasse livelli altissimi, che ingrandimenti a metro quadro fossero osservabili da vicino senza perdere nemmeno una piccola parte della propria assoluta qualità. Ottiche alla fluorite, apocromatiche, costosissime, unite a fotocamere di livello spaziale, hanno aiutato generazioni di fotografi ad ottenere sempre il meglio, e hanno arricchito i fabbricanti, ovviamente. Ad un certo punto, però, la sbornia di tecnologia ha creato assuefazione, e più di qualcuno ha cominciato a chiedersi se non stavamo perdendo per strada un elemento importante: la creatività. E' per questo che sono nati fenomeni che coloro i quali seguono questo blog sicuramente conoscono bene: la Lo-Fi photography, la Lomografia, il ritorno alle fotocamere Vintage a pellicola, e così via. Ma cosa c'è di nuovo da dire su un fenomeno che ha generato una vera corrente di pensiero, e milioni di fotografie, e si avvia felicemente a diventare una moda, una scorciatoia verso "l'arte" e dunque, presumibilmente, a fallire nei suoi scopi?
Beh, la cosa che mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile essere imperfetti sono state alcune foto scattate con una vecchia box camera degli anni '50. Acquisiti digitalmente i negativi per elaborarli al computer, nella logica "ibrida" che si usa oggi, mi sono trovato a pensare: sino a che punto tutte queste sfocature, questi pelucchi e questi graffi che "rovinano" il negativo (e guai a rimuoverli!), insomma sino a che punto tutte queste imperfezioni sono accettabili, e anzi creano, per così dire, l'opera d'arte? Alla perfezione, diciamolo, siamo abituati e sappiamo gestirla: bisogna solo possedere i migliori mezzi tecnici che le nostre tasche possano sopportare, utilizzarli a regola d'arte spremendo ogni competenza tecnica presente nella nostra testa et voilà, ecco la foto tecnicamente ineccepibile! Ma, invece, come si può stabilire quando un'opera è imperfetta? Non sbagliata, attenzione: imperfetta! Ho scattato recentemente delle foto stenopeiche in cui la sfocatura e la scarsa nitidezza erano tali che a momenti non si capiva nemmeno bene il soggetto (capita, quando si sbaglia a realizzare il foro stenopeico!): io le foto le ho buttate, ma magari per qualcuno erano davvero tanto creative! Chi lo stabilisce, dunque, il limite? Quando si realizza il test di un obiettivo o di una fotocamera (o dell'insieme dei due) si guardano gli estremi dell'inquadratura, il rumore, le linee per millimetro, e così via. Abbiamo dei parametri oggettivi. Ma con le foto fatte con le Toy Cameras, col foro stenopeico, col TTV, o con le altre tecniche Lo-Fi, dobbiamo affidarci solo ai gusti personali, che sono ovviamente fallaci e sin troppo soggettivi.
Andate su Flickr e guardate quante foto scadenti, ma spacciate per foto creative, ci sono nei gruppi nati per raccogliere gli appassionati di tecniche "alternative". Se sovra o sottoesporre, sfocare, ridurre la nitidezza, esagerare col mosso, e così via, sono tecniche creative (e, in effetti, lo sono), come si fa a valutare in modo non del tutto superficiale e soggettivo se la foto è significativa o meno? Non possiamo nemmeno cavarcela con l'affermare che la foto è "corretta", perché altrimenti l'autore si offende! Eppure, tra tanto ciarpame, ci sono tante, tantissime belle foto. Anch'esse sfocate, mosse, insomma poco nitide, ma che sanno sfruttare queste caratteristiche per regalare emozioni che invece le foto "corrette", ben composte, ben esposte e perfettamente nitide non sanno comunicare. Ecco perché penso che l'arte più difficile sia quella dell'imperfezione, piuttosto che quella della perfezione. Gestire la propria creatività e il proprio estro artistico al di fuori delle regole, in modo anarchico e totalmente libero, significa navigare a vista e acquisire un'autodisciplina invidiabile. Altrimenti, si otterrebbero solo foto sbagliate! 
Da un certo punto di vista, è così anche nella vita. E non sto semplicemente parlando del dovere che abbiamo di accettare i nostri limiti e le nostre imperfezioni. No, sto parlando della difficile arte di perfezionare a tal punto i propri difetti e i propri limiti, che tutti dovranno chiamarci maestri dell'imperfezione. Ed è in questo ossimoro, forse, che si nasconde il segreto di un nuovo modo di intendere l'arte e la fotografia...

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