La difficile indipendenza del Sud Sudan
Creato il 09 luglio 2011 da Bloglobal
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di Maria Serra Ilreferendum sull’indipendenza tenutosi in Sudan lo scorso 9 gennaio sembra avermesso la parola fine, almeno per il momento, alla questione riguardante laparte meridionale del Paese, che si è proclamato ufficialmente Repubblica delSud Sudan oggi 9 luglio, diventando così la 54° nazione africana. Tuttavia, ilnuovo Stato si trova fin da subito ad affrontare numerosi problemi, che possonominare il suo stesso futuro. Non si tratta solo delle numerose controversielasciate in sospeso con il governo centrale di Khartoum (riorganizzazione degliscambi commerciali, ripartizione del debito estero, cittadinanza da conferirealle tribù nomadi arabe che si spostano nel Sud, controllo delle acque delNilo, delimitazione delle frontiere e, dunque, le note questioni relative adAbyei e ai Monti Nuba, fertili e ricchi di giacimenti petroliferi), ma anche dilatenti conflittualità interne allo stesso Stato nascente, che potrebbero darforza alla teoria secondo cui questa area dell’Africa è sottoposta findall’Ottocento ad un processo di “balcanizzazione”.Laprima questione che la classe politica di Juba e il Presidente Salva Kiir sitrovano ad affrontare è la Costituzione: secondo alcuni osservatori internazionali ecomunità religiose, la carta fondamentale potrebbe non tutelaresufficientemente le numerose minoranze presenti nel territorio sud sudanese eaprire la strada, pertanto, ad un’egemonia della tribù dinka sulle altre, nuere shiluk in primis. Il conflitto frai Dinka (il principale gruppo etnico tribale del Sud Sudan stanziato nellaregione orientale del Bahr al-Gazal, nell’area centro-settentrionale del SudKordofan e in vaste aree delle province orientali di Jonglei e dell’Alto Nilo)e i Nuer (la seconda tribù del Paese, presente nelle province orientali e nellearee occidentali dell’Etiopia) non costituisce una novità nel quadro sudsudanese e, anzi, si è recentemente riproposto negli Stati di Warrap e Unity.La frattura fra le due popolazioni nilotiche risale già ai tempi dellacolonizzazione britannica, quando, cioè, con l’imposizione dei confini, ilpotere è stato accentrato a Khartoum e il Sud, ricco di risorse petrolifere eidriche e diviso in “close districts”,è stato strumentalmente considerato come una realtà di etnie a sé stanti che,pur non avendo delle marcate differenze tribali tra loro, sono entrate inconflitto a causa dell’accesso ai pascoli e ai punti d’acqua e per il possessodel bestiame. A ciò bisogna aggiungere il fatto che i Dinka costituiscono anchela maggioranza all’interno dell’Esercito Sudanese di Liberazione Popolare(SPLA). Il gruppo ha rafforzato la propria posizione grazie a Salva Kiir –anch’egli di etnia dinka –, succeduto alla morte del leader storico, JohnGarang, all’indomani del “Comprehensive Peace Agreement” (CPA) del 2005. Il conflittofra le due anime dello SPLA, in effetti, si è radicalizzato nel corso deglianni Novanta con l’uscita del comandante Riek Machar (insieme ai generali GodonKonk e Lam Akol), di etnia nuer, e la formazione di un gruppo armato(SPLA-United, a sua volta soggetto di un’ulteriore divisione con il SouthernSudan Indipendent Movement SSIM) che aveva come obiettivo la secessione dalNord, piuttosto che la formazione di uno Stato federale, com’era, invece,desiderio di Garang. La divisione etnica è stata nel corso degli anni fomentatadalla stessa Khartoum che, grazie ai proventi del petrolio, ha finanziato lefazioni scissioniste nuer – ispirando nel 1997 la riconciliazione delle forzedi opposizione allo SPLA attraverso la formazione della South Sudan DefenceForces (SSDF) – per stabilizzare, così, il fronte separatista meridionale. Intal modo è potuta crescere costantemente una spirale di violenze e vendette,che nemmeno in vista dell’imminente dichiarazione di indipendenza sembraessersi placata. Nelloscorso mese di marzo, infatti, lo SPLA si è dovuto scontrare nello Stato diUnity – centrale dal punto di vista economico, poiché il campo petrolifero diBamboo produce circa 15milioni di barili al giorno – con le milizie di GatluakGai (che si sarebbero dovute riunire nello stesso SPLA), considerato dalGoverno del Sud Sudan vicino ad Angelina Teny (moglie di Machar, candidata“indipendente” nelle elezioni politiche del 2010 e Ministro per l’Energia nelgoverno di unità nazionale) e al dissidente George Athor (che ha riorganizzatola lotta allo SPLA nello Stato di Jonglei) e, per questo, percepito come unaminaccia. Allo stesso modo si sono verificati scontri a Malakal, la capitaledell’Alto Nilo, tra lo SPLA e una milizia locale chiamata Oliny, che sarebbevicina al leader del partito sudista di opposizione Sudan People’s LiberationMovement for Democratic Change (SPLM-DC), Lam Akol.Ènecessario inoltre considerare che, a seguito della defezione di Athor, altriex-generali hanno organizzato nel Paese rivolte contro il futuro governocentrale: Gabriel Tang Ginye, nuer ed ex leader delle milizie sudiste diventatoMaggiore Generaletra le fila dell’esercito regolare di Khartoum e che ha il controllo dibuona parte dello SPLA nello Stato dell’Alto Nilo, ha organizzato dei movimentidi protesta nello Stato di Jonglei; Peter Gadet, Maggiore Generaledello SPLA, che durante la guerra civile é stato legato alla SSDF. Inparticolare, la defezione di Gadet dovrebbe preoccupare Kiir, a causadell’influenza che esercita all’interno della tribù nuer a cui appartiene e acausa della facilità con cui durante la guerra si schierò con il Nord dopo la spaccaturadello SPLA nel 1991. Tra l’altro,come per Athor, i vertici dello SPLA ritengonoche questi personaggi abbiano ricevuto supporto logistico e armi dal governo diBashir.Diqui si comprende perché una Costituzione più favorevole ai Dinka (come è statonello stesso progetto di Kiir quando è succeduto a Garang), che mantengono, tral’altro, saldamente il controllo dello SPLA – destinato a diventare l’esercitoregolare dello Stato – può solo aumentare il grado del conflitto. Pur nonessendoci la certezza del coinvolgimento di Khartoum negli scontri che si sonoverificati dall’inizio dell’anno, il governo sud sudanese potrebbe averel’opportunità di adottare un approccio improntato all’inclusione delle forze edei partiti di opposizione e realizzare le aspettative della popolazionecivile. Ciò, evidentemente, non significherà solo scendere ad una situazione dicompromesso per l’accesso alle risorse idriche e petrolifere, per laconcessione di diritti di proprietà e mantenimento delle terre, ma anche,eventualmente, includere generali ribelli e i loro uomini nella sfera politicaattraverso l’assunzione di cariche pubbliche. Ammesso che ciò possaeffettivamente costituire una soluzione e non, invece, destabilizzare sulnascere il giovane Paese.* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)L'analisi sul Sud Sudan è stata condotta da Maria Serra nell'ambito del Centro Studi Internazionali e come tale potrà essere pubblicata anche sul relativo sito.
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