La dittatura del fallimento

Creato il 01 giugno 2012 da Albertocapece
Per fortuna che c’è calciopoli. Così la classe dirigente di ogni tipo o categoria può distrarre l’attenzione degli italiani dal proprio fallimento e può rinviare il momento in cui si dovrà dare l’annuncio di calare  le scialuppe sperando di aver già svuotato a sufficienza la democrazia. Mentre la Fornero ride in quel modo ebete e increscioso sulla manomissione dell’articolo 18, Monti davanti a Obama, Merkel e Hollande, sempre incapace di una posizione propria,vero arlecchino in toni di grigio, assicura i litiganti che ” l’Italia è contraria a cambiare lo statuto della Bce”.L’ Italia? Risulta a qualcuno che ci sia stato un referendum? Che se ne sia discusso in Parlamento? Che ci sia stata una presa di posizione quanto meno informale delle forze politiche o di quel che ne rimane? No, ma Monti ormai vende come posizioni del Paese quelli che sono i suoi contorcimenti per non dispiacere alla Merkel che lo ha sollevato agli onori del potere e nello stesso tempo non perdere il contatto con Hollande e con la realtà. Ora è evidente a tutti che molti dei problemi che ci sovrastano, sono dovuti proprio all’inesistenza della Bce  come banca centrale e in ogni caso all’insufficienza dei suoi poteri, toccata con mano in questi anni di crisi. In realtà non si tratta affatto di un problema tecnico, ma squisitamente politico che riguarda da vicino le prospettive e il senso che si vuole dare alla moneta unica e alla unione Europea. Non credo che il premier di un governo tecnico, formalmente legittimo, ma pur sempre tecnico, possa spacciare le proprie personali opinioni e spendere la parola del Paese su temi di questa portata.Soprattutto perché l’ apertura verso la filosofia della Bundesbank e le tesi tedesche è stata del tutto gratuita, c’entrava assai poco con il tema dell’Unione bancaria e l’utilizzo del fondo salva stati per soccorrere le banche spagnole.  E’ stato soprattutto un voler rassicurare la cancelliera che Maastricht e le sue regole palesemente insensate non verranno toccate, anche se occorre fare qualche momentaneo strappo alla tirannia del debito. A me pare invece che l’opinione pubblica italiana nel suo complesso e persino i partiti di tutto l’arco incostituzionale, abbiano più volte espresso l’opinione e il desiderio che si debba andare verso un cambiamento di Maastricht.Questa è’ anche l’opinione della stragrande maggioranza degli economisti sparsi per il vasto mondo, Berlino esclusa perché la Germania è l’unica a trarre vantaggio dalla situazione. E non solo: la videoconferenza a quattro è la dimostrazione patente della fallacia delle ricette messe in atto che costringe i Paesi che le hanno seguite a chiedere aiuto. E non si capisce con quale legittimità materiale un premier che sperimenta il fallimento delle misure prese possa fare asserzioni che alla fine si dimostrano suicide. Dico legittimità materiale, una definizione forse impropria, perché è ormai evidente il disastro a cui ci stanno portando ricette imposte da “poteri superiori”, seguite con scrupolosa quanto acritica diligenza, realizzate in modo pasticciato e cialtrone, con il magnifico risultato di aver spinto il Paese in recessione e di avere comunque interessi altissimi sul debito. Proprio oggi siamo tornati sui quei livelli di massimo allarme che convinsero l’oligarchia e la casta a tentare la carta del tecnico come ultima risorsa alla loro incapacità e vigliaccheria.Quindi se il premier è legittimato ad avvelenare il presente, si guardi bene dal mettere ipoteche sul futuro, da distruggere i ponti alle spalle e di farci fare la ridicola e perdente figura del vaso di argilla che vuole risuonare con il vaso di ferro. Faccia il tecnico del cosiddetto rigore, dopo aver fatto il consgliori dei governi che hanno portato alle stelle il debito pubblico. La smetta di parlare a nome del Paese come se il lieto progetto di “ridurre la democrazia” sia già cosa fatta e proceda senza più ostacoli, facilitata dalle paure della crisi: gli italiani esistono ancora e molti sono ancora abbastanza in vita da non arrendersi ai becchini.

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