“La diversità da un punto di vista multiculturale” di Miriam Luigia Binda
Creato il 18 giugno 2014 da Lorenzo127
di MIRIAM LUIGIA BINDA
In considerazione al tema della “diversità” mi sembra interessante proporre una breve riflessione sul pluralismo che prende spunto da un libro, molto interessante, scritto da Giovanni Sartori.
Un testo che ha già compiuto qualche anno ma fa capire molte cose sulla diversità e sul concetto di cultura differenziata. Il libro, o meglio il saggio, si intitola: Pluralismo, multipluralismo e estranei: Saggio sulla società multietnica (edito da Rizzoli, saggi italiani). Giovanni Sartori, l’autore del libro, come molti sanno è un politologo italiano tra i più conosciuti ed accreditati anche a livello internazionale. In questo suo saggio, egli esamina ed approfondisce il difficile tema dell’integrazione tra una cultura ospitata e l’altra ospitante e, fin dalle prime pagine, il lettore capisce che il problema delle differenze tra usi e costumi diversi, stili di vita anche religiosi non è piatto o scontato, come qualcuno vuol fare credere, anzi tali differenze sono molto “forti” per cui non è facile l’integrazione anche nei paesi democratici e multi-etnici. Più le differenze socio-culturali sono discrepanti, più è difficile, secondo il politologo, affrontare l’acculturazione degli stranieri. Dal punto di vista antropologico (non quindi, da quello religioso, morale, politico,economico, ecc.) il problema della convivenza multiculturale consiste nell’individuare, su entrambi i suoi versanti, il limite fisiologico di promiscuità tra le diverse culture, oltre il quale non si dovrebbe andare per non scatenare o fagocitare reazioni fra i suoi adepti. Da parte dell’ospite straniero si tratta di sapere fino a che punto, egli deve e può lasciarsi assimilare dalla diversa cultura ospitante, per poter interagire al meglio, senza rinunciare ai tratti fondamentali della propria cultura materna (ovviamente nel caso in cui egli intende restarvi fedele). Di conseguenza, da parte della società ospitante si tratta di riconoscere il limite di compatibilità tra i suoi principi fondanti e i valori di vita perseguiti da chi proviene da un’altra cultura. Se ogni uomo è figlio della sua società – si può dunque aggiungere – anche la società è il frutto della sua cultura ma il fatto, oramai verificato, di un continuo flusso migratorio costituito da gente che si sposta da una nazione e l’altra ha infranto tali confini e si può quindi affermare che la società etnica o mono-culturale, è finita. E’ finita per effetto di una metamorfosi che ha trasformato la società mono-culturale a società “aperta” che per Giovanni Sartori, trova il suo limite nella moderna Babele, in cui l’affollarsi di culture differenti rischia di distruggere la stessa città. Questo particolare lato della questione porta a formulare la seguente domanda: posto che una buona società non deve restare chiusa, quanto aperta può essere davvero una società aperta? S’intende aperta senza autodistruggersi senza esplodere o implodere? Secondo l’analisi di Sartori, la società ospitante “aperta” alle differenze culturali ha comunque bisogno di un codice genetico rappresentato dal pluralismo. [1]
Ma che cosa significa pluralismo? Sartori chiarisce il suo punto di vista, ricorrendo alla forma più retorica di un altra importante domanda: In quale misura il pluralismo slarga e diversifica la nozione di comunità? Una comunità può sopravvivere se spezzata in tante sotto-comunità differenti che sono poi, in concreto comunità che arrivano a rifiutare le regole che istituiscono un convivere comunitario? Queste domande sul pluralismo e la convivenza civile trova risposta nel pensiero, più volte citato dallo stesso Sartori, del Cardinale Biffi di Bologna il quale asserisce che tutti i Governi (Italia compresa) devono stare attenti a considerare le diverse culture, non solo facendo leva su fattori economici o politici in quanto, bisogna soprattutto considerare e tutelare un’identità nazionale. L’ Italia per esempio, non è landa deserta o semi abitata è una società con una storia e delle tradizioni vive, con un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che, per il Cardinale bolognese, non può e non deve essere perduto.[2] Parlando dell’Italia per esempio, è possibile dare diritto alla poligamia dei mussulmani ? Giovanni Sartori non ha dubbi, le considerazioni del Cardinale Biffi aprono la riflessione sulla teoria etica weberiana della responsabilità. Max Weber distingueva l’etica della responsabilità (una moralità che mette in conto le conseguenze delle nostre azioni) in contrasto con l’etica dei principi (nella quale la buona intenzione è tutto. In questo caso il buono ed il cattivo viene ignorato). L’etica della responsabilità è pilotata da un capire i bisogni e le necessità mentre, l’etica dei principi è più ottusa perché applica i principi morali in una maniera così pura che non vuole vedere altro da se. L’etica dei principi quindi per Sartori, si dimostra irresponsabile perché rifiuta di capire e di vedere determinate situazioni che richiedono riflessioni molto scrupolose da caso in caso. Lo studio sulle diverse culture non può far altro che fronteggiare eventuali situazioni di insostenibilità soprattutto quando si celano pregiudizi anche di tipo razziale. L’indifferenza, di chi rifiuta di vedere questi problemi in quanto ritiene che sia giusto convivere senza “troppo questionare” sulle differenze di fatto, impedisce di affrontare delle scelte (difficili talvolta) che possono contribuire a migliorare la convivenza tra i cittadini di diversa cultura. Per Giovanni Sartori è dunque importante, anche sul piano politico, affrontare la conoscenza oggettiva delle differenze al fine di proporre soluzioni possibili, nel rispetto della diversità culturale dei gruppi stranieri, compatibilmente alla salvaguardia dei valori della società ospitante. Infatti conclude Sartori, ogni cultura ha i suoi valori irrinunciabili ma, bisogna anche tenere conto che alcuni soggetti non si adeguano agli altri modelli, come nel caso degli integralisti musulmani. A tale proposito, evidenzia il politologo, la società occidentale non può rinunciare alla religione cristiana; può eventualmente riconoscere la libertà di culto ai seguaci di altre confessioni religiose, grazie al fatto che essa riconosce, nella libertà di culto un proprio valore basilare che comunque non deve stravolgere la nostra libertà. Per esempio nella società islamica si accetta la diversità assoluta tra un uomo e una donna; addirittura la ribellione della donna musulmana è vista come un oltraggio che la legge islamica, talvolta punisce con pene corporali violente. Per citare qualche fatto di cronaca, anche in Italia, nel 2011, Amal una ragazza marocchina, veniva picchiata dal padre perché voleva frequentare una comunità cattolica, grazie all’intervento dei carabinieri oggi la ragazza vive in una comunità protetta. Oppure chi si dimentica il caso della giovane diciottenne che abitava in un paese vicino a Pordenone, ammazzata dal padre perché la giovane donna di nazionalità pachistana, desiderava sposarsi con un ragazzo italiano non di fede musulmana? Inoltre i tanti casi di infibulazione clandestina praticati a titolo di purificazione religiosa può essere tollerato, nel nostro paese? E’ una pratica così incivile e pericolosa per la salute della donna che è impensabile riconosce l’infibulazione come un sacramento religioso da praticare in Europa o in Italia. Una visione “farisaica” per dirla con Sartori, in nome della tolleranza non da peso a questi casi di violenza, molti dei quali non vengono neppure denunciati e quindi non emergono attraverso la cronaca dei giornali, eppure si verificano e non si può dire che sono casi normali che fanno parte del “calderone” di una società pluralista e multi-etnica. Ovviamente non c’e’ solo il peggio, le differenze culturali non sono, come nei casi citati sempre violenti e drammatici, per fortuna no, grazie al modello etico della responsabilità è possibile cogliere delle differenze per cercare una convivenza pacifica e soprattutto regolata anche dalla legge che tutela la dignità ed il rispetto reciproco. Nel saggio di Giovanni Sartori: Pluralismo, multiculturalismo e estranei si capisce benissimo che la questione non è banale anzi è una questione complessa che accetta e vuole conoscere le differenze senza annullarle; invece chi non le vuole vedere e da per scontato che al mondo “siamo tutti uguali” non fa altro che serrare la questione come se in questo universo tutto e tutti possono vivere tranquillamente e per loro volontà, in una società multietnica ed occidentalizzata. Una visione così semplificata non capisce che tale convivenza ha bisogno della partecipazione continua della popolazione e dell’aiuto delle istituzioni che in qualche modo devono, con i propri mezzi, cercare anche di arginare il fenomeno della clandestinità. A pochi passi dall’Europa ed a ridosso dei nostri confini territoriali, infatti esistano, ancora oggi, situazioni completamente diverse e più arcaiche, d’emergenza per le guerre civili e carestie che causano flussi migratori clandestini, difficili da controllare per tutelare (anche da intenzioni malavitose) le tante persone in prevalenza giovani uomini, donne e bambini che chiedono “umanamente” di poter essere accolti ed ospitati nel nostro paese che, ai loro occhi appare ancora ricco di lavoro, bello, moderno e soprattutto civile.
Miriam Luigia Binda
/edito riferimento: guerrAnima 2014
[1][1] Giovanni Sartori - Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica pag. 16-17
[2] Giovanni Biffi – la città di San Petronio nel terzo millennio. Bologna pag. 23-24.
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