La divina commedia-Inferno-Canto II
Creato il 31 ottobre 2012 da Italiabenetti
@italiabenetti
Inferno: canto II
Dante, uscito dalla
selva del peccato, aveva iniziato l’ascesa del colle all’alba. Al tramonto
dello stesso giorno egli si sente assalito da dubbi: per quale suo merito
particolare è stato prescelto a visitare da vivo il regno dei morti? Due soli
altri esseri viventi erano scesi nell’oltretomba in carne ed ossa: Enea e San
Paolo. Ma essi erano stati destinati da Dio a porre in terra le fondamenta
della società umana, rispettivamente nell’ordine temporale e in quello
spirituale: il primo in quanto capostipite dei Romani, il secondo in quanto
propagatore ed organizzatore del Cristianesimo.Per dissipare queste perplessità
Virgilio gli spiega i motivi che lo hanno indotto a venire in suo soccorso. Tre
dorme benedette hanno avuto compassione di Dante in cielo: la Vergine Maria ha
raccomandato la salvezza del Poeta a Lucia, la quale a sua volta ha esortato
Beatrice a sottrarlo al mortale pericolo in cui si trovava. Le accorate parole
e la sovrumana bellezza della beata, discesa ad implorarlo, hanno reso il poeta
latino impaziente di obbedirle.Al nome della donna amata in gioventù Dante si
rianima, non diversamente dai fiori all’alba, e, senza più esitazioni, segue
Virgilio nel difficile cammino verso la porta dell’inferno.
Il secondo canto dell’inferno,
decantato da Benigni!
Canto secondo de la
prima parte ne la quale fa proemio a la prima cantica cioè a la prima parte di
questo libro solamente, e in questo canto tratta l’auttore come trovò Virgilio,
il quale il fece sicuro del cammino per le tre donne che di lui aveano cura ne
la corte del cielo.
Lo giorno se
n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai
che sono in terra
da le fatiche loro; e
io sol uno 3
m’apparecchiava a
sostener la guerra
sì del cammino e sì
de la pietate,
che ritrarrà la mente
che non erra. 6
O muse, o alto
ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti
ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua
nobilitate. 9
Io cominciai:
"Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù
s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto
passo tu mi fidi. 12
Tu dici che di Silvïo
il parente,
corruttibile ancora,
ad immortale
secolo andò, e fu
sensibilmente. 15
Però, se l’avversario
d’ogne male
cortese i fu,
pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di
lui, e ’l chi e ’l quale 18
non pare indegno ad
omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma
Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per
padre eletto: 21
la quale e ’l quale,
a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo
loco santo
u’ siede il successor
del maggior Piero. 24
Per quest’andata onde
li dai tu vanto,
intese cose che furon
cagione
di sua vittoria e del
papale ammanto. 27
Andovvi poi lo Vas
d’elezïone,
per recarne conforto
a quella fede
ch’è principio a la
via di salvazione. 30
Ma io, perché
venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non
Paulo sono;
me degno a ciò né io
né altri ’l crede. 33
Per che, se del
venire io m’abbandono,
temo che la venuta
non sia folle.
Se’ savio; intendi
me’ ch’i’ non ragiono". 36
E qual è quei che
disvuol ciò che volle
e per novi pensier
cangia proposta,
sì che dal cominciar
tutto si tolle, 39
tal mi fec’ïo ’n
quella oscura costa,
perché, pensando,
consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar
cotanto tosta. 42
"S’i’ ho ben la
parola tua intesa",
rispuose del
magnanimo quell’ombra,
"l’anima tua è
da viltade offesa; 45
la qual molte fïate
l’omo ingombra
sì che d’onrata
impresa lo rivolve,
come falso veder
bestia quand’ombra. 48
Da questa tema acciò
che tu ti solve,
dirotti perch’io
venni e quel ch’io ’ntesi
nel primo punto che
di te mi dolve. 51
Io era tra color che
son sospesi,
e donna mi chiamò
beata e bella,
tal che di comandare
io la richiesi. 54
Lucevan li occhi suoi
più che la stella;
e cominciommi a dir
soave e piana,
con angelica voce, in
sua favella: 57
"O anima cortese
mantoana,
di cui la fama ancor
nel mondo dura,
e durerà quanto ’l
mondo lontana, 60
l’amico mio, e non de
la ventura,
ne la diserta piaggia
è impedito
sì nel cammin, che
vòlt’è per paura; 63
e temo che non sia
già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al
soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di
lui nel cielo udito. 66
Or movi, e con la tua
parola ornata
e con ciò c’ ha
mestieri al suo campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne
sia consolata. 69
I’ son Beatrice che
ti faccio andare;
vegno del loco ove
tornar disio;
amor mi mosse, che mi
fa parlare. 72
Quando sarò dinanzi
al segnor mio,
di te mi loderò
sovente a lui".
Tacette allora, e poi
comincia’ io: 75
"O donna di
virtù sola per cui
l’umana spezie eccede
ogne contento
di quel ciel c’ ha
minor li cerchi sui, 78
tanto m’aggrada il
tuo comandamento,
che l’ubidir, se già
fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’
ch’aprirmi il tuo talento. 81
Ma dimmi la cagion
che non ti guardi
de lo scender qua
giuso in questo centro
de l’ampio loco ove
tornar tu ardi". 84
"Da che tu vuo’
saver cotanto a dentro,
dirotti
brievemente", mi rispuose,
"perch’i’ non
temo di venir qua entro. 87
Temer si dee di sole
quelle cose
c' hanno potenza di
fare altrui male;
de l'altre no, ché
non son paurose. 90
I’ son fatta da Dio,
sua mercé, tale,
che la vostra miseria
non mi tange,
né fiamma d’esto
’ncendio non m’assale. 93
Donna è gentil nel
ciel che si compiange
di questo 'mpedimento
ov'io ti mando,
sì che duro giudicio
là sù frange. 96
Questa chiese Lucia
in suo dimando
e disse: - Or ha
bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo
raccomando -. 99
Lucia, nimica di
ciascun crudele,
si mosse, e venne al
loco dov’i’ era,
che mi sedea con
l’antica Rachele. 102
Disse: - Beatrice,
loda di Dio vera,
ché non soccorri quei
che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la
volgare schiera? 105
Non odi tu la pieta
del suo pianto,
non vedi tu la morte
che ’l combatte
su la fiumana ove ’l
mar non ha vanto? -. 108
Al mondo non fur mai
persone ratte
a far lor pro o a
fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai
parole fatte, 111
venni qua giù del mio
beato scanno,
fidandomi del tuo
parlare onesto,
ch’onora te e quei
ch’udito l’ hanno". 114
Poscia che m’ebbe
ragionato questo,
li occhi lucenti
lagrimando volse,
per che mi fece del
venir più presto. 117
E venni a te così
com’ella volse:
d’inanzi a quella
fiera ti levai
che del bel monte il
corto andar ti tolse. 120
Dunque: che è perché,
perché restai,
perché tanta viltà
nel core allette,
perché ardire e
franchezza non hai, 123
poscia che tai tre
donne benedette
curan di te ne la
corte del cielo,
e ’l mio parlar tanto
ben ti promette?". 126
Quali fioretti dal
notturno gelo
chinati e chiusi, poi
che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti
aperti in loro stelo, 129
tal mi fec’io di mia
virtude stanca,
e tanto buono ardire
al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come
persona franca: 132
"Oh pietosa
colei che mi soccorse!
e te cortese
ch’ubidisti tosto
a le vere parole che
ti porse! 135
Tu m’ hai con
disiderio il cor disposto
sì al venir con le
parole tue,
ch’i’ son tornato nel
primo proposto. 138
Or va, ch’un sol
volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e
tu maestro".
Così li dissi; e poi
che mosso fue, 141
intrai per lo cammino
alto e silvestro.
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